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Inter-Barcellona è già nella storia del calcio europeo

Dove la classifichereste tra le altre imprese di Champions League?

Inter-Barcellona è già nella storia del calcio europeo Dove la classifichereste tra le altre imprese di Champions League?

L’Inter di Simone Inzaghi è in finale di Champions League, un’altra volta. E ci arriva dopo 210 minuti contro il Barcellona che già alle 23:39 di ieri, al momento del triplice fischio di Szymon Marciniak, erano nella leggenda del calcio europeo. Il 7-6 tra nerazzurri e blaugrana ci entra infatti di diritto, come una delle sfide andata-ritorno più spettacolari e imprevedibili nella storia della “coppa con le orecchie”. Lo chiede la stessa UEFA sui propri canali ufficiali: the greatest tie in Champions League history?

Il pathos non è mancato: 3-3 all’andata, 4-3 dopo tempi supplementari al ritorno, con la qualificazione che è sfuggita dalle mani del Barça proprio quando sembrava che i catalani, avanti con il gol di Raphinha a pochi minuti dal termine, avessero compiuto lo scatto decisivo. Poi è uscita tutta quella “pazzia” che l’Inter rivendica da sempre come tratto genetico: il guizzo da centravanti di Francesco Acerbi, che sarebbe un difensore centrale, per pareggiare i conti in pieno recupero; i miracoli tra i pali di Yann Sommer, che con le sue parate ha rovinato la festa a Lamine Yamal e compagni; e infine la zampata decisiva di Davide Frattesi, il solito uomo dei finali di partita, tra gol pesanti ed esultanze passionali.

Emozioni nerazzurre

Inter-Barça è stata una scarica di adrenalina di 210 minuti (anzi 232, con il tempo di recupero) in cui è successo di tutto. Probabilmente, se chiedete ai tifosi nerazzurri e blaugrana, con umori agli antipodi vi diranno che la semifinale è durata tutte le 140 ore circa che hanno separato la sfida del Montjuic (stadio olimpico Lluis Companys) di mercoledì scorso, e quella di ieri a San Siro. Un braccio di ferro in cui il tabellino è cambiato tredici volte, con una collezione di reti d’autore, tra colpi di tacco (Thuram), rovesciate (Dumfries), azioni personali (Lamal) e missili dalla lunga distanza (Raphinha); e in cui i proverbiali millimetri - ad esempio quelli del fuorigioco di Mkhitaryan, del suo fallo su Yamal appena fuori area, delle falangi di Sommer - hanno fatto la differenza.

Il tutto, immerso in un’atmosfera da brividi, con gli spalti del Meazza ovviamente sold out - 14 milioni di euro circa di incassi, nuovo record per un club italiano - e una partecipazione contagiosa del pubblico interista. Una di quelle “Notti Magiche” a San Siro e di quelle serate da “Io c’ero”, insomma. E se due anni fa l'euroderby col Milan regalava alla “gente che ama soltanto te”  la finale di Istanbul, stavolta chi “gira l’Italia per te” volerà in Germania, a Monaco di Baviera. Aspettando di conoscere la sfidante, una tra Paris Saint-Germain e Arsenal, con la finale che si giocherà all’Allianz Arena, stadio del Bayern, il prossimo 31 maggio.

Emozioni italiane 

Chi c’era ad Inter-Barça del 2010, anche in quel caso una semifinale, potrebbe ricordare emozioni simili. Quindici anni fa la squadra di Mourinho si impose sui catalani di Guardiola per 3-1 all’andata, e poi si difese eroicamente dall’assedio di Messi, Ibrahimovic e compagni al Camp Nou, spianando la strada per lo storico “triplete”. Se andiamo indietro di altri tre anni, nella primavera 2007 fu invece la Milano rossonera a festeggiare dopo le semifinali di Champions League, dopo aver eliminato il Manchester United. La squadra di Ancelotti restò in vita con una sconfitta di misura ad Old Trafford (3-2), e poi al ritorno stese gli inglesi in quella che sarebbe stata ribattezzata “la partita perfetta”. Un’altra notte memorabile tra le mura di San Siro, anche quella volta sotto un diluvio torrenziale, come ieri sera.

Ovviamente non tutte queste storie hanno un lieto fine. Anzi, può capitare che siano beffe durissime da dimenticare. Come quella che ricevette lo stesso Milan, da campione in carica, nel 2004, quando nei quarti di finale incassò l’incredibile “remuntada” del Deportivo La Coruña. Oppure si può pensare alla semifinale del 1999, quando la Juventus venne recuperata in casa propria dal Manchester United, dopo il 2-0 nei primi minuti (firmato Filippo Inzaghi) che aveva illuso i bianconeri. Anche la Juve di Allegri ha vissuto una notte simile nel 2016, a Monaco di Baviera: dopo il 2-2 di Torino e il doppio vantaggio del ritorno, il ribaltone dei tedeschi negli ultimi venti minuti, concluso poi nei supplementari, trasformò un’impresa in un incubo. O forse in linfa vitale per tornare ancora più forte l’anno dopo, nonostante la sconfitta in finale. 

Emozioni europee 

La storia della Champions League, e prima della Coppa dei Campioni, è fatta di sfide passionali, grandi rimonte e gare di ritorno “for the ages”, come dicono dove il calcio è stato inventato. Nel 1986, ad esempio, il Real Madrid andò in Germania a prendere una sonora lezione (5-1) dal Borussia Mönchengladbach; il preludio di una gara di ritorno al Bernabeu che si sarebbe trasformata nella madre di tutte le “remuntadas” spagnole (4-0). Il ribaltone per antonomasia risale però al 2017, tra Paris Saint-Germain e Barcellona: 4-0 per il PSG all’andata, 6-1 catalano al ritorno, con tre gol negli ultimi minuti. E due anni dopo, nel 2019, accadde ancora l’incredibile, ma stavolta toccò al Barça la parte della vittima, per mano del Liverpool: 3-0 al Camp Nou, 4-0 ad Anfield, con l’indimenticabile “corner taken quickly” di Alexander-Arnold per Origi.

Come hanno dimostrato Inter e Barça negli ultimi sette giorni, però, non è necessaria una grande rimonta per entrare nella storia e nella memoria collettiva. Chi ama il calcio europeo, per dirne una, non ha dimenticato la doppia pirotecnica sfida tra Liverpool e Chelsea del 2009, con il ritorno che finì 4-4 a Stamford Bridge (7-5 complessivo per i Blues). Oppure l’assurda semifinale tra Tottenham e Ajax di sei anni fa, con la tripletta di Lucas Moura nel secondo tempo; o i quarti tra Real Madrid e Chelsea del 2022, firmati da un leggendario Karim Benzema; o ancora la sfida del marzo 2020 (controversa, per ragioni sanitarie) tra Atlético e Liverpool, decisa da Marcos Llorente nei tempi supplementari. 

Sono tutte partite, queste, che ormai appartengono all’epica della “coppa con le orecchie”, e alla mitologia delle squadre e delle tifoserie protagoniste. Perché la Champions League è anche un ricordo collettivo, oltre che un momento di sport. E chi ieri era a San Siro, è tornato a casa con qualcosa di indelebile: il privilegio di aver visto coi propri occhi, e vissuto sulla propria pelle, un pezzo di storia del calcio europeo.