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More Than - Mattia Furlani

To infinity and beyond

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Mattia Furlani

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Parlare con Mattia Furlani è un gioco. Ed è quasi assurdo che lo sia. È difficile credere di non percepire nemmeno un briciolo di tensione nelle sue parole o nel suo modo di fare, così come è impensabile dover investire anche solo un minimo sforzo per sostenere una conversazione con lui. Le chiacchierate scorrono fluide, come un fiume: dopo cinque minuti c’è già la confidenza di un compagno di banco, di un amico di sempre, del vicino di casa. Mattia Furlani è un bro, e proprio non ce la fa a metterti a disagio o a flexare uno status che, oggi più che mai, si è già guadagnato bruciando ogni tappa, ogni traguardo. Appena ci incontriamo, ci consegna il suo romanzo per bambini che ha da poco pubblicato, Il salto più lungo, un racconto che già in parte rivela la predisposizione di Mattia verso il prossimo e il desiderio di trasmettere la sua esperienza da atleta e non. Mattia Furlani è il nuovo protagonista di More Than; ed è semplice spiegare perché sia già più di un semplice sportivo. Basta guardare al suo pedigree, o al modo in cui gestisce pressioni e responsabilità con la scioltezza di un veterano, di un adulto navigato. Ma come si fa a essere Mattia Furlani? Questo lo può spiegare solo lui. Fatto sta che la sua vita, e di conseguenza la sua carriera sportiva, sono condite da ingredienti molto rari da trovare in un atleta - specialmente tutti insieme.

Lo incontriamo a Milano, in una classica giornata meneghina. È il 2 aprile: sono passati meno di dieci giorni dall’impresa del lunghista classe 2005 a Nanchino, dove si è laureato campione del mondo nel salto in lungo indoor. All’orizzonte ci sono molti altri obiettivi da aggiungere al suo palmarès, ma soprattutto quello che, con tre anni di anticipo, si preannuncia come un capitolo fondamentale della sua vita: i Giochi Olimpici estivi di Los Angeles 2028.
«Dopo Nanchino, per me è ufficialmente impossibile non pensare al mio lavoro. Ma non è mai stato un problema. Io sono così tranquillo perché parlare del mio lavoro, di quello che faccio, dei sacrifici che ci sono dietro, non è mai stato un ostacolo. In primis perché quei sacrifici sono veri, e ovviamente indispensabili; in secondo luogo, perché la mia vita è il salto in lungo, e su questo non ci sono scuse».

 

Proviamo a mettere alla prova Mattia fin da subito, quasi a sfidare quella calma disarmante: com’è possibile non avere paura di avere rimorsi? A soli 20 anni, quante cose si rischia di non fare per dedicarsi completamente al proprio lavoro? «Con me sono stati subito chiari: la mia famiglia, le Fiamme Oro, la Federazione Italiana — tutti. Ho capito fin da subito che alcune cose, a differenza dei miei amici, non avrei potuto farle. Quando loro organizzano le vacanze estive, io sono in piena stagione agonistica. E quindi niente, i sacrifici sono tanti. Posso solo sperare (e impegnarmi) affinché le gare vadano bene, così magari riesco a organizzare delle feste e passare un po’ di tempo con i miei amici». Il discorso sui sacrifici è un po’ un cliché, ma nel caso di Mattia vale la pena affrontarlo a 360 gradi mettendo da parte, almeno per un momento, prestazioni e aspetti tecnici. È chiaro che fare rinunce a 20 anni non è la stessa cosa che farle più avanti con l’età. A 20 anni, sacrificare la voglia di condurre la vita dei tuoi amici, la normalità di poter esprimere sé stessi non è affatto facile.

«Non voglio sembrare esagerato, ma una delle mie difficoltà più grandi è dover indossare sempre l’uniforme della Nazionale. Mi piace la moda, ma soprattutto mi piacciono gli orologi, sono un grandissimo appassionato. Però, ho imparato che non posso indossarli quando e quanto vorrei»
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«Non voglio sembrare esagerato, ma una delle mie difficoltà più grandi è dover indossare sempre l’uniforme della Nazionale. Mi piace la moda, ma soprattutto mi piacciono gli orologi, sono un grandissimo appassionato. Però, ho imparato che non posso indossarli quando e quanto vorrei»
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«Non voglio sembrare esagerato, ma una delle mie difficoltà più grandi è dover indossare sempre l’uniforme della Nazionale - intendo quella di rappresentanza, non quella da gara. Mi piace la moda, mi piace vestirmi come voglio. Ad esempio, il mio brand preferito è AMI Paris, perché riflette ciò che voglio esprimere in questo momento: un’attitudine low profile. Nessun logo vistoso. Voglio apparire, ma non voglio apparire. Preferisco farmi notare attraverso le forme, le silhouette, i dettagli dei capi, piuttosto che per altre peculiarità». E continua «Soprattutto mi piacciono gli orologi, sono un grandissimo appassionato. Anche in questo caso, però, ho imparato che devo fare pace con me stesso e con la mia professione: non posso indossarli quando e quanto vorrei». Nel frattempo, Mattia alterna gli outfit che abbiamo selezionato per questo shooting; indossa brand giapponesi come Junya Watanabe e Issey Miyake, che rispecchiano perfettamente quanto ci ha appena raccontato: per lui contano i dettagli, come le silhouette e i tagli sartoriali – ed è evidente, perché gli stanno benissimo.

La mamma di Mattia è Kathy Seck, ex velocista di origini senegalesi e attuale coach; il padre, invece, è Marcello Furlani, ex saltatore in alto. Per la cronaca, è stato l’acerrimo rivale del padre di Tamberi negli anni Ottanta. Infine, la sorella Erika è anche lei una saltatrice in alto. Insomma, gli stimoli in casa Furlani non mancano: puntare sempre al top è un mantra, e curare i dettagli - comprese le distrazioni fuori dal campo - è all’ordine del giorno. Mattia sa benissimo come sfogarsi lontano dalla pedana; ad esempio, la musica è uno di quei modi in cui riesce davvero a evadere dal suo lavoro.

«Mio fratello è un producer, quindi ho imparato ad avvicinarmi alla musica anche dal punto di vista più tecnico. Inoltre, la musica è qualcosa che reputo più accessibile – passatemi il termine – rispetto alla moda, dove ho dei limiti più evidenti. Posso ascoltarla prima delle gare, può essere una fonte d’ispirazione, ma soprattutto rappresenta un hobby che posso coltivare con più facilità, con meno intoppi (ride, ndr)». «Se dovessi associare i tre salti che mi hanno regalato l’oro a Nanchino a una traccia musicale, quella sarebbe Revenge di XXXTentacion: la ricerca della vittoria, della rivalsa e della rivincita è il motore che mi spinge ad andare avanti.»

Per il resto, Mattia si racconta così com’è, senza provare a nascondersi, lasciando parlare il lato più umano di sé. «Sono un grandissimo tifoso della Roma, e se un giorno dovesse capitare che la squadra arrivi in finale di Champions League e che la partita si giochi lo stesso giorno e alla stessa ora di una gara importante, non so davvero come farei. Una situazione simile mi è già successa con il concerto di Travis Scott al Circo Massimo: mio fratello era lì, tutti i miei amici erano lì, ma io ero impegnato con l’Europeo Under 20: ho sentito la FOMO». Forse è proprio in una disciplina individuale, che può risultare alienante come il salto in lungo, che un atleta sente il bisogno di esternare maggiormente la sua umanità, di trovare nelle piccole cose di tutti i giorni un safe place. Forse è per questo che ciò che guida Mattia Furlani è il desiderio di conformarsi più a ciò che fanno e provano le persone comuni, piuttosto che agli idoli irraggiungibili. Nel dolore, nella sofferenza, nella gioia o semplicemente nella quotidianità, l’ambizione di Mattia è, in fondo, quella di ricercare la normalità.

Photographer: Agostino Giorgio Chiarucci
Light assistant: Nicolò Rampazzo
Stylist: Mirko De Propis
Stylist assistant: Sofia Motta
MUAH: Carolina Antonini
Interview: Andrea Mascia

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