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È iniziata l'Iliade tra Alcaraz e Sinner

La finale del Roland Garros è entrata nella storia del tennis e ha inaugurato una rivalità epica

È iniziata l'Iliade tra Alcaraz e Sinner La finale del Roland Garros è entrata nella storia del tennis e ha inaugurato una rivalità epica

Si può ripensare da prospettive diverse alla sfida di domenica tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, nella finale del Roland Garros. Per il primo, e per sua stessa ammissione, con grandi rimpianti: ha raccontato che servirà del tempo per digerire la sconfitta, per dimenticare quel vantaggio 2-0 e quei tre matchpoint sprecati nel quarto set, su cui si è infranta la sua imbattibilità nelle finali Slam. Dall’altra parte, della rete e non solo, c’è l’impresa leggendaria dello spagnolo, che ha ribaltato e vinto la sua quinta finale di un major, curiosamente alla stessa identica età (22 anni, 1 mese, 3 giorni) del quinto titolo Slam di Rafael Nadal. E in modo quantomai nadaliano: con una maratona che ha chiuso come fossero i cento metri piani, tirando fuori il suo miglior tennis dopo cinque ore di gioco.

La finale del Roland Garros 2025 è tutto questo, e per lo spettacolo offerto sul campo molto di più. La partita infatti è già stata iscritta alla storia del gioco, come celebrato diffusamente dai media di tutto il mondo. A dirlo sono i numeri e i (non) precedenti: la finale più lunga mai giocata a Parigi (329 minuti), la prima dello Slam decisa al super tie-break, la nona rimonta da 0-2. E prima ancora di ciò, il tennis con cui sono stati riempiti quei numeri. «Alcaraz ha realizzato una delle più grandi rimonte nella storia dello sport», ha scritto Tumaini Carayol su The Guardian, «in una sfida folle, fuori dal mondo». L’Équipe, voce sportiva parigina per antonomasia, ha dato l’imprimatur: «un match monumentale che entra nel pantheon del tennis».

Maratona

L’ultimo precedente tre-su-cinque tra Sinner e Alcaraz si era giocato negli stessi metri di campo, dodici mesi prima. E anche in quell’occasione, una semifinale, ebbe la meglio l’iberico al quinto set. Incapsulato, ne emerge un trend opposto per i due: Jannik nella sua giovane carriera non è ancora riuscito a scrivere un lieto fine ad un lungometraggio da quattro o più ore (zero vittorie e sei sconfitte); Carlos invece si è confermato il maratoneta che conosciamo (dieci vittorie e una sconfitta): un mistero della natura, con una lista ormai lunga di quinti set da giocatore e atleta di un altro pianeta.

Per Sinner non si tratta di un tema nuovo, ma in questa occasione, dopo lo stop forzato di inizio anno, trovano spazio giustamente altre riflessioni. «Sono arrivato pronto», ha detto in sala stampa dopo la finale, «molto più che a Roma, e credo si sia visto». I frutti del suo lavoro lontano dai campi non erano scontati, nei primi mesi soprattutto. Ciò nonostante sul rosso parigino è arrivato in fondo con percorso netto di diciotto set vinti e zero persi, incluso il 3-0 rifilato a Djokovic in semifinale. La sconfitta di domenica, insomma, lascia dell’amaro in bocca, ma si tratta soltanto della prima sconfitta di Sinner in una finale Slam, dopo tre successi; ed è maturata contro «il numero due al mondo, ma che sulla terra è il vero numero uno», ricorda lo stesso Jannik.

La buona notizia è che negli ultimi giorni, a tratti almeno, si è rivisto qualcosa di simile al miglior Sinner. E la prima di tante rivincite si giocherà a breve, di questo possiamo essere ragionevolmente certi, guardando una classifica e una scena mondiale dominate da due ragazzi di 23 e 22 anni. Magari si troveranno già sull’erba di Wimbledon, il mese prossimo, oppure sul cemento americano. Noi possiamo stare comodi, perché a Parigi si è giocata soltanto la prima finale Slam tra i due, e ha avuto tutta l’aria del capitolo uno di una rivalità generazionale.

Rivalità

Le sfide Sinner-Alcaraz hanno nel contrasto, più che nella messa in scena, il loro grande elemento cinematografico. Non è solo una rivalità tecnica di altissimo livello, ma anche la contrapposizione tra due linguaggi opposti: l’imperturbabile Sinner contro l’infiammabile Alcaraz, il controllo delle emozioni contro la ferocia agonistica, e tutte le altre, infinite differenze che corrono tra i due. Per come vivono e stanno nel tennis, oltre che per il modo di giocarci.

«Il livello di questa finale è stato assolutamente incredibile», ha detto Mats Wilander (Eurosport), che il Roland Garros l’ha vinto tre volte in carriera, negli anni Ottanta. «Sinner e Alcaraz hanno portato questo sport a un altro livello, e non pensavo l’avrei mai detto dopo i Big Three; ma è un gioco addirittura più veloce di prima, un livello difficile da immaginare». La sua incredulità fotografa la percezione attuale del pubblico: non solo per la partita di domenica, ma per tutto ciò che potrebbe, dovrebbe venire dopo.

Perché ormai Alcaraz-Sinner è una rivalità che ha forma, contesto e narrativa. E che sta iniziando a scrivere la propria epica: dodici precedenti (8-4 per lo spagnolo), palcoscenici sempre più importanti, e l’impressione sempre più netta che l’uno tiri fuori il meglio dall’altro. In ogni occasione, e in chissà quante a venire. È stato così per una vita tra Federer e Nadal, e poi con Djokovic, i Big Three. E se per anni il punto di riferimento di ogni discorso è stato quel terzetto, e ogni accenno alla prossima grande rivalità è sembrato azzardato, stavolta parole come quelle di Mats Wilander non ci suonano strane, o forzate. Sì, è iniziata un’era.