Giorgio Armani ha disegnato la storia dello sport italiano Con un’eleganza riconosciuta in tutto il mondo

«Lo sport è una straordinaria forma di rappresentazione e comunicazione della contemporaneità, come la moda». Sono parole di Giorgio Armani, tratte da una sua intervista per ICON di qualche anno fa, ed è lo sguardo con cui lo stilista piacentino ha osservato, vestito e vissuto il mondo dello sport per decenni. Più che un logo, o un semplice sponsor, anche in questo campo Armani è diventato un linguaggio. Un modo di pensare e di rappresentare l’italianità, elegante e raffinato. Uno stile di presentarsi prima ancora che di vestirsi, sbarcato oltre trent’anni fa nel calcio - ricordate l’Italia a USA ’94? - e quindi nel basket, con la sua Olimpia Milano. Poi sono venute le divise olimpiche, il guardaroba Ferrari, la regia estetica di club calcistici europei; e tutto intorno una costellazione di campioni - italiani e stranieri - avvolti per anni nelle sue linee, dentro e fuori dal terreno di gara. «Dello sport amo l’impegno, il confronto con i propri limiti, il non arrendersi mai: è un modo di essere e di vivere».

Ieri Giorgio Armani si è spento a 91 anni, nella sua casa di Milano. L’annuncio del Gruppo Armani ha fatto in pochi minuti il giro del mondo, compreso quello sportivo; rimbalzando dalle passerelle alle redazioni, dagli spogliatoi ai social di atlete ed atleti, tra i tanti che nelle ultime ore hanno reso omaggio a Re Giorgio. La sua è una scomparsa che chiude un capitolo enorme dell’immaginario italiano contemporaneo, e che ci rimette un’altra davanti agli occhi il suo lungo viaggio a bordo campo. In un universo che da sempre lo ha affascinato, e in cui ha trovato complicità, opportunità commerciali, occasioni di affermazione identitaria e valoriale del brand; ma anche, da vero uomo di sport quale è stato, una passione autentica, viscerale, al punto di diventare il “salvatore” del basket milanese.

«Gli atleti sono portatori di valori positivi», diceva ad ICON, «disciplina, abnegazione, impegno costante e determinazione». Se all’orizzonte oggi ci sono i Giochi olimpici invernali 2026 di Milano-Cortina, da qualche ora si sta facendo largo il rammarico di non poter condividere con Armani, brand partner dell’evento, il ritorno in Italia dei cinque cerchi. Ma in eredità, dalla sua odissea sportiva, ci è rimasto molto: firme, immagini, creatività e gesti che hanno cambiato come gli azzurri si mostrano al mondo, e che hanno creato un nuovo terreno comune tra élite fashion e sport mainstream.

Eccellenza italiana

«Lo sport è la cosa piu’ patriottica che ci sia, una fonte d’ispirazione dell’orgoglio nazionale». Questa la premessa con cui Giorgio Armani introduceva tredici anni fa le divise della delegazione italiana ai Giochi di Londra. La sua griffe sul look azzurri, però, era iniziata da tempo, nel calcio. La prima collaborazione nel settore era stata con il Piacenza, squadra della sua città natale, per cui il brand confezionò il guardaroba formale in occasione del debutto in Serie A, nel '93. Il ricordo più indelebile per il grande pubblico, però, risale all’anno successivo, nei Campionati mondiali giocati negli Stati Uniti. Sì, la maledetta finale del rigore di Baggio, ma anche la spedizione che ha gettato le basi per l’affermazione di Armani come compagno di viaggio nei grandi appuntamenti dell’Italia e dei suoi atleti. È lì che prese forma l’idea di quell’azzurro, quello stile elegante e contemporaneo che anni dopo avrebbe trovato una sintesi nelle capsule à la Bearzot svelata per l’Europeo 2021.

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Dal 2012 quella visione è diventata la regola. E il binomio tra eccellenza sportiva e alta moda, una prassi. Dal calcio si è passati all’evento multidisciplinare per antonomasia, cioè Olimpiadi e Paralimpiadi. Londra 2012, Rio 2016, Tokyo 2020, Parigi 2024: tutte edizioni in cui completi e uniformi EA7, la linea sportswear inaugurata a inizio millennio, hanno avvolto la delegazione azzurra in cerimonie, podi ed eventi nel villaggio. Sui capi visti l’estate scorsa sulla Senna, ricamati nella parte interna erano presenti i primi versi dell’Inno di Mameli: un dettaglio incastonato con la solita delicatezza che ha raccontato il senso di appartenenza del brand, ma anche il legame ormai di lunga data con la storia del Paese. Sul versante club calcistici, l’esperimento più interessante si è svolto a Napoli. Da una manciata di stagioni EA7 disegna le maglie da gara dei partenopei, in un unicum internazionale di altissima moda che produce kit tecnici. Parallelamente, il lavoro sul formale resta l’habitat naturale: nei mesi scorsi la Juventus ha scelto Armani per il travel & formal wardrobe, e quindi per il pre e post partita, dal pullman alla conferenza stampa.

Lo stesso modus operandi di recente si è fatto spazio anche in pit lane, Formula 1, dove un’altra storica eccellenza italiana si è associata alla maison milanese. Dal 2021 infatti Scuderia Ferrari ha affidato ad Armani il guardaroba off-track di piloti e management, dando forma alla fusione estetica di due dei marchi più iconici nel panorama nazionale. C’è poi l’Italia delle discipline invernali, grazie alla partnership tecnica con FISI, estesa a Milano-Cortina 2026. E attorno a tutti questi capitoli, gli innumerevoli volti che hanno reso riconoscibile il linguaggio Armani, vestendo i suoi capi in contesti di ogni genere: Federica Pellegrini, Paola Egonu, Fabio Fognini, Flavia Pennetta, Bebe Vio, Filippo Magnini, Sofia Goggia, Gianmarco Tamberi, Lorenzo Sonego, Tommaso Marini, Alex Zanardi - e si potrebbe andare avanti ancora per parecchie righe.

Mecenatismo

Nel basket, se possibile, Armani è stato ancora più di tutto questo. Non è esagerato dire che il suo arrivo abbia cambiato il destino dell’Olimpia Milano, per sempre. Dopo lo sbarco nel 2004 e la definitiva acquisizione nel 2008, salvando il club dal fallimento, è iniziata una lunga ristrutturazione, pezzo per pezzo. Governance, staff, identità, branding. Cambiando anche i propri segni visivi - da Armani Jeans ad EA7 Emporio Armani, e infine AX Armani Exchange - ma soprattutto dando nuova linfa all’ambizione. Partendo dal ritorno ai massimi livelli sul palcoscenico nazionale (2014, 2016, 2018, 2022, 2023, 2024), e arrivando a firmare Ettore Messina con un doppio ruolo tecnico-manageriale, a competere ai piani alti d’Europa (Final Four Eurolega nel 2021) e ad attrarre sempre più top player del continente.

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C’è poi la parte che non finisce in bacheca. Nel 2008 è nato l’Armani Junior Program, poi confluito nell’attuale Youth Program: un universo di centinaia di società sportive del territorio, camp, ticketing dedicato, formazione tecnica e l’idea che l’Olimpia Milano non sia solo intrattenimento sportivo, ma una parte della città. Di tutto ciò resta un’immagine, indelebile, tra le tante: Giorgio Armani al Forum, ogni partita, in quello che sarà eternamente il suo posto. «Sono entrato per amore della squadra e della città di Milano, e non me ne sono mai pentito, neanche nelle prime stagioni, quando non vincevamo», ha raccontato. È la sintesi migliore di questi vent’anni: salvare una tradizione, riportarla ai vertici e lasciarla in condizioni di restarci ancora a lungo.

Senza confini

Dopo USA 1994, ma prima che lo sport italiano ci si legasse indissolubilmente, Armani aveva già portato il suo stile nel calcio europeo. A Newcastle (Premier League) nel 1999 aveva firmato i capi di rappresentanza del club, mentre a Londra aveva accompagnato il Chelsea per le finali di FA Cup 2000 e 2002, e quindi progettato la Armani Lounge a Stamford Bridge (2007). La stessa nazionale inglese aveva puntato sul brand lombardo per il proprio off-field wardrobe a Euro 2004. In Germania, infine, è stato il Bayern Monaco a raccogliere il testimone e affidare ad Armani la propria identità formale per tre stagioni, dal 2014 al 2017. 

Il raggio d’azione, comunque, va ben oltre il calcio anche a livello internazionale. A Londra, durante la prima settimana di Wimbledon, il Giorgio Armani Tennis Classic (Hurlingham Club) connette inviti esclusivi, leggende del gioco e top player del momento al palcoscenico più prestigioso della tradizione british. Nel basket invece, oltre all’Olimpia Milano, si segnala anche la sinergia tra Euroleague Basketball e Armani Exchange, visibile tanto sul parquet quanto nei contenuti digitali. Un filo unico che passa dagli stadi inglesi ai prati dell’Hurlingham, in cui Armani ha codificato il prima e dopo dell’evento sportivo, traslando l’eleganza della sartoria italiana in contesti tecnici e culturali molto diversi.

Legami storici

Ci sono le collaborazioni, i testimoniali, e poi ci sono le relazioni personali. Il rapporto con Andriy Shevchenko, icona del Milan anni 2000, è stato tutte queste cose: amicizia, presenze alle sfilate, una boutique a Kiev nel 2002, e quell’EA7 che nel nome porta proprio il numero 7 dell’attaccante. E quando la guerra ha travolto l’Ucraina negli ultimi anni, Armani ha collaborato con Sheva per sensibilizzare il pubblico continentale sul tema (sfilate in silenzio e parole di sostegno) e per contribuire attivamente agli aiuti umanitari diretti verso Kiev (supporto a UNHCR, fundraising). Il ponte tra moda e calcio che raggiunge anche la rete civile, insomma. E un’ennesima dimostrazione della cifra umana del personaggio. C’è poi anche un capitolo privato che non è passato inosservato, nel 2005, quando Francesco Totti consegnava ad Armani la realizzazione degli abiti per il matrimonio con Ilary Blasi. Sul piano pop, invece, gli anni Duemila hanno segnato una nuova era dei maxi-poster pubblicitari, quelli di Emporio Armani Underwear con David Beckham e Victoria. E quindi con il passaggio del testimone a Cristiano Ronaldo e Rafael Nadal.

Il cerchio si chiude, e non potrebbe essere altrimenti, con il basket: «Uno sport nobile, quasi teatrale», diceva Giorgio Armani. «Un gioco di squadra organizzato, rapido, divertente, dove tutto può cambiare anche all’ultimo momento: lo trovo affine al mio modo di intendere il lavoro». È la chiave che attraversa tutta la sua storia nello sport, e che trova un interprete naturale: Kobe Bryant. Con l’ex Lakers, tragicamente scomparso nel gennaio 2020, Armani si è incrociato due volte: nell’idea e nei gesti. L’idea nasce presto, quando un 21enne Bryant racconta di aver ricevuto da lui un consiglio che si porterà dietro: «Mi disse che aveva avviato la sua azienda a 40 anni. È stato un campanello d’allarme, come a dire: e tu, cosa farai?» - un promemoria che esiste una vita creativa anche oltre il parquet.

I gesti arrivano invece dopo la morte di Bryant, alle Final Eight di Coppa Italia in cui l’Olimpia Milano scese in campo in giallo-viola, fuori dai propri colori. Armani accompagnò la scelta sottolineando la sua volontà ad «uscire dai colori tradizionali, per una volta, per indossare quelli legati a Kobe: onorarlo è il nostro modo di ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per il basket nel mondo». Sul fondo, un legame tutto italiano: Kobe cresciuto tra Rieti, Pistoia e Reggio Emilia, dove ha imparato la lingua e un certo modo di stare in campo, che l’Italia non ha mai dimenticato. Non stupisce che Milano lo abbia salutato con affetto intimo, e che oggi lo stesso mondo saluti Giorgio Armani. Sono due scomparse che parlano la stessa lingua, quella dell’eleganza, della determinazione e dall’agonismo, dentro e fuori il teatro sportivo.