
Football herstory Esplorando il futuro della moda nel calcio attraverso le voci delle migliori designer
«Le maglie di Keira Walsh del Chelsea andranno a ruba nelle prossime 24 o 48 ore,» prevede Helen Hardy, collezionista di maglie da calcio (ne possiede circa 350), nonché fondatrice della prima piattaforma retail al mondo dedicata esclusivamente al calcio femminile, Foudys. Ne parliamo su Zoom poche ore prima della chiusura della finestra di mercato di gennaio 2025. A completare il quartetto ci sono la designer di moda e docente universitaria originaria di Hull ma residente a Londra, Hattie Crowther, e la fashion designer brasiliana Renata Brenha, anche lei vive Londra. Trascorriamo più di due ore discutendo di come e dove le maglie da calcio si inseriscono (e talvolta stravolgono) il panorama del calcio e della moda.
Negli ultimi anni, l’esplosione del calcio femminile e delle collaborazioni tra moda e calcio ha legittimato la creatività di Renata, Hattie e Helen (e anche il mio) in uno sport ancora dominato dagli uomini, portando i loro design a una diversa considerazione. Essendo la fondatrice londinese della rivista SEASON zine, nonché una storyteller creativa che lavora nel mondo del calcio e della moda, ho collaborato con loro o le ho ammirate da lontano. Io sono il punto di connessione tra tutte, ed è un’emozione riuscire a riunirle per la prima volta in una conversazione.
Sul significato della maglia da calcio
Helen Hardy: Conservano memoria e sono multifunzionali. La fanbase del calcio femminile spesso coincide con chi gioca a calcio, quindi adoro vedere la varietà di usi delle maglie: in curva all’Emirates, durante le serate fuori, o negli allenamenti con le amiche. Non è sempre una tifosa del Manchester United a indossare una maglia del Manchester United.
Hattie Crowther: Insegno sportswear alla UAL e a Kingston, quindi affrontiamo e spieghiamo l’aspetto performativo. Lavoriamo sulle esigenze degli atleti — soprattutto delle atlete — e poi c’è la componente moda. È la vita della maglia, dentro e fuori dal campo.
Renata Brenha: Hanno uno stemma, un logo, uno sponsor, un nome e un numero dietro. Rappresentano la cultura di un’epoca, come fossero artefatti antropologici, e catturano passione. L’uniforme di una squadra e tifosi è una cosa bellissima.
Le maglie da calcio sono moda o merchandising?
Helen Hardy: Io sono calcio, non moda. Il mio indirizzo mail recita “merchandising calcio femminile”; mi rivolgo al consumo di massa. Ma adoro il fatto che nella NWSL le maglie home e away restino per due stagioni: è una scelta quasi unica nel panorama retail del calcio. Il prodotto resta rilevante più a lungo, creando un ecosistema migliore.
Felicia Pennant: La maglia da calcio fa da ponte. Chi usa reference del calcio nei propri design sceglie spesso la maglia perché è un item in grado di comunicare in modo diretto. Che si tratti di Martine Rose che ne disegna una nuova, del colletto ispirato ai colletti drill top nelle maglie knitwear di Prada SS25, o di voi due che ne reinventate i design.
Hattie Crowther: Moda, per quanto riguarda le mie maglie, perché per me il merch è qualcosa di prodotto in massa, e io non produco mai in massa. È politico, è una denuncia. Il mio drop “Fuck the Fans” per Euro 2024 con Saka, Rashford e Sancho è andato sold out in fretta, e Sancho ne ha comprata una.
Renata Brenha: Le mie creazioni sono DIY. Potrei chiamarle arte calcistica, mai merch. È moda perché, come brand, giochiamo con codici culturali e cliché brasiliani, in modo ironico, proponendo qualcosa su cui riflettere e da indossare. Si parla di identità, amore per il calcio, consumo e rapporto con i vestiti. Ma non voglio prendermi troppo sul serio. Il sistema è ormai troppo commerciale, tutto si vende a ritmi folli, producendo sprechi assurdi.
Sul genere nelle maglie da calcio
Hattie Crowther: È l’ambiente che fa la differenza. Abbiamo tutte partecipato a partite maschili e femminili, ed è un’esperienza completamente diversa. Le maglie comunicano in base al contesto. A una partita femminile ti senti sicura, non c’è quella mascolinità tossica.
Renata Brenha: È il contesto, non la funzione. Il mio lavoro è tutto incentrato sulla distruzione degli stereotipi di genere. Parliamo di una semplice t-shirt con le stesse caratteristiche. Forse un uomo ha spalle più larghe, una donna più seno.
Helen Hardy: Sono molto appassionata di questo tema, ed è uno dei motivi per cui ho lanciato Foudys nel 2020. Il 5% dei nostri clienti non si identifica come uomo o donna, quindi li escluderemmo parlando di fit maschile e femminile. Noi usiamo i termini “taglio curvo” e “taglio dritto”. Parliamo della vestibilità in chiave fashion, non corporea. Io indosso il taglio curvo per giocare perché fascia sotto il seno, e il taglio dritto per andare allo stadio perché mi dà più libertà.
Sulla personalizzazione della vestibilità
Hattie Crowther: Ho realizzato corsetti calcistici non binari, collaborando con la comunità LGBTQIA+ Ho iniziato nel 2019, scattando foto al The Glory con i miei amici. Mi metto continuamente alla prova, sviluppando nuove tecniche e tessuti. Sono stata assunta da VERSUS e Adobe come direttrice creativa per riadattare le divise del Camden Town Women FC al corpo femminile. Fin dove possiamo spingerci nel reworking delle maglie?
Renata Brenha: Come upcycler, cerco di dare una seconda vita a un oggetto. Ho disegnato dei pantaloni plissettati servendomi di otto maglie diverse in versione femminile, solo per via delle proporzioni. È stato un successo tale che i clienti in Giappone mi hanno chiesto taglie extra large per venderli agli uomini. Ho creato anche shorts molto piccoli, perché il materiale disponibile è limitato. Su Instagram ci sono foto di ragazzi a Ibiza che li indossano.
Le maglie più belle in circolazione
Helen Hardy: Forse sono di parte, perché collaboriamo con loro, ma amo le nuove collezioni Admiral, ispirate alla cultura retro. Oggi i brand sono ossessionati dalla rilevanza, e per loro “essere rilevanti” significa essere retrò.
Hattie Crowther: Il ritorno di Umbro è da tenere d’occhio, e la collaborazione con Slam Jam è davvero tosta.
Renata Brenha: Mi è sempre piaciuta Umbro, ma penso che le collab vadano reinventate. Stiamo ancora usando lo stesso materiale — quante volte si può rifare la t-shirt in poliestere? Può essere più sottile, più spessa, con cuciture incollate o cucite, ma alla fine non cambia molto.
Sul "blokecore"
Helen Hardy: Mi dispiace, è un termine che non mai sentito.
Hattie Crowther: La terminologia è una cavolata. Perché non può essere WAG-core o qualcosa di più femminile? Non capisco perché tutto debba sempre ricondurre a una cultura da maschio bianco, cisgender, da pub. È stato bello vedere le maglie vivere in guardaroba non tradizionali, ma ora tutto è diventato superficiale a causa di TikTok e dei social. La maglia ha perso la sua eredità, il suo significato narrativo.
Renata Brenha: È una mera strategia di marketing.
Sull’innovazione tecnica
Hattie Crowther: Tutto è poliestere. Se guardi alla materialità, è tutto composto da elementi tecnici diversi, trame e orditi. La maglia più interessante è quella away dello Shakhtar Donetsk 22/23 di PUMA. È super sottile, leggera, con cuciture termosaldate. Indosserei qualcosa del genere se giocassi.
Renata Brenha: Non capisco perché usiamo il poliestere per un capo che dovrebbe essere traspirante. Capisco la leggerezza, ma è plastica su un corpo sudato. Il miglior tessuto traspirante è il cotone, roba naturale. Me lo chiedo spesso, visto che lavo le maglie e poi le taglio. È davvero più sostenibile? Forse sì, rispetto a creare qualcosa da zero con una nuova impronta di carbonio. Ma quando faccio la plissettatura a caldo, vedo come il materiale si scioglie. La vera innovazione sarebbe lavorare con tessuti più sostenibili che interagiscano meglio col corpo.
Les Vêtements de Football – The Golden Age of Football Jerseys è un progetto firmato nss sports e dedicato all’epoca d’oro delle maglie da calcio.
L'acquisto è disponibile sul nostro e-commerce a questo link.














































