
From bootleg to branding Una conversazione con David Bellion, Sonya Kondratenko e Ted Philipakos
Tutti lo chiamano El Paso, una reference al classico spaghetti western Per qualche dollaro in più, per la cava rocciosa che circonda il campo da gioco. Siamo allo Stadio Grigoris Lamprakis, casa dell’Athens Kallithea, per incontrare Ted Philipakos e Sonya Kondratenko, rispettivamente Branding Creative Director e Marketing Director del club appena promosso in Super League, la massima divisione calcistica greca. Questo viaggio ha l’obiettivo di mettere insieme Ted e Sonya con David Bellion, consulente creativo ed ex calciatore: tre persone affini che non si erano mai incontrate e che desiderano chiacchierare e confrontare il loro punto di vista su calcio e moda.
Mentre ci sediamo sulle tribune vuote, inizia una conversazione piuttosto naturale che tocca temi come il ruolo dei club più piccoli, l’importanza dello storytelling e ciò che risulta più stimolante nelle loro esperienze lavorative.
Ted: Vivevo a New York, stavo bene, non avevo in programma di cambiare vita. Essere il Branding Creative Director del Venezia FC oggi suona come un lavoro glamour, ma all’epoca, chi cambierebbe vita, lascerebbe città e paese e tutto il resto per lavorare in un club di Serie D italiano che era da poco fallito? Lo fai solo se hai qualcosa da esprimere.
David: Tutto ciò che ho fatto per il Red Star l’ho immaginato nella mia mente mentre giocavo a calcio. Perché ogni volta che viaggiavo, il mio sguardo cadeva su outfit, foto, maglie e cibo allo stadio. È molto strano perché anche tanti grandi club non curano così profondamente della loro immagine.
Ted: Hai detto che pensavi alla tua visione creativa anche mentre giocavi, il che significa che hai scoperto il tuo gusto personale mentre vivevi le esperienze che la vita ti riservava, e io posso immedesimarmi in questo. Non devi essere il Manchester City o il PSG nel tuo quartiere, è bello essere il portavoce per un piccolo club.
David: Tornando al Red Star, eravamo agli inizi dei social media quando ho preso il controllo. Quindi sono andato sulla pagina Instagram del club e l’ho usata come se fosse il mio Instagram. E il mio Instagram era pieno di meme, con molti video di comici come Dave Chappelle e Ricky Gervais. Amo questo tipo di black humour: è versatile e può essere utilizzato sia in caso di vittoria che di sconfitta.
Ted: Sì, facevi in modo di trasmettere il tuo gusto alla squadra, è molto importante.
David: Sì, a volte le persone prendono tutto troppo sul serio, dovrebbero rilassarsi. È calcio di terza divisione, no?
Ted: Questa è una storia piuttosto unica, un esempio vincente davvero unico nel mondo del calcio. È stato rischioso quello che hai fatto. Devi conoscere la cultura, il luogo, il contesto e il pubblico. Avere fan che comprendono cultura e territorio è piuttosto raro nello sport; possiamo immedesimarci perché uno dei motivi per cui il progetto Athens Kallithea FC ha avuto successo con i local qui deriva dalla mia sensibilità per questa città. Penso che io e Sonya abbiamo fatto il salto di qualità con il Venezia FC quando abbiamo iniziato a vivere quella città ogni giorno.
Sonya: Puoi vivere il calcio a modo tuo, ed è fondamentale. Noi abbiamo creato uno spazio sicuro, definito una cultura inclusiva e duratura, e questo è estremamente importante.
David: Penso che se sei bravo, sei bravo. Prima di incontrarvi sapevo chi eravate, ma allo stesso tempo, quando ho visto l'Athens Kallithea per la prima volta, non conoscevo tutta la storia. La prima volta che ho visto le foto, ho detto: «Wow, qualcosa sta succedendo lì, almeno in termini di cultura e immagine».
Sonya: Come esseri umani, cerchiamo di costruire community a un certo livello: avere con noi luoghi significativi è immensamente importante. Ogni città e paese in Europa ha una squadra di calcio, forse più di una, quindi siamo abbastanza fortunati. In America non eravamo al punto in cui la MLS fosse presente in ogni città, quindi avevi squadre più piccole che diventavano punti di riferimento per la comunità, e non si trattava tanto di calcio. Si trattava di unirsi per supportare qualcosa. Trovare persone con interessi comuni e poter socializzare.
Ted: Sfortunatamente, il successo di un club come il Venezia FC ha scatenato tentativi infiniti di imitazione. Imitazioni troppo spesso fatte unicamente per vendere, e questo non va bene. Guardavano il Venezia fare soldi con le maglie e pensavano: «Dobbiamo prendere anche noi quei soldi». Se arrivi al lavoro il lunedì e il tuo primo pensiero è «Come diventiamo global?», torna a casa, non sei adatto a questo mondo. Il Venezia FC ha guadagnato la reputazione di essere "il club più alla moda del mondo" senza che fosse un obiettivo.
Sonya: Ci siamo svegliati e abbiamo pensato che il nostro futuro fosse scritto.
David: La moda è facile da capire. A volte le persone confrontano moda e immagine. Non capiscono che non vogliono comprare la maglia del Kallithea, bensì le emozioni che ci sono dietro: la divisa è solo il prodotto finale di una storia. Per me, la maglia non è l’asset più importante di un club.
Ted: Acquisti un mondo, un luogo, una cultura. Non tutti nell’industria lo capiscono. Potrebbero vedere quello del Kallithea come un esempio da 10/10 e cercare di replicarlo; magari il prodotto finale non viene neanche male, tipo un 7/10. Questo potrebbe far pensare loro che la differenza principale tra il nostro e il loro progetto sia nel set design, o nell'attenzione della direzione artistica. Ma non capiscono che la differenza tra un 7/10 e un 10/10 la fa l'ossessione; una vita intera a pensare ai dettagli e alla cultura.
Sonya: Inoltre, questo influisce sull’autenticità. La nostra crescita non era programmata, è stato il risultato (immediato, quasi) di qualcosa in cui credevamo così fortemente, e ciò si rifletteva nel modo in cui eseguivamo il nostro lavoro. Ora siamo in un momento in cui c’è tanto caos, troppe collaborazioni e maglie. I consumatori non sono stupidi. Non vogliono spendere soldi per ogni maglia di ogni squadra, ma per qualcosa di significativo.
David: Con il Red Star, mi rifiuto di fare collaborazioni. Semplicemente per me non ha senso. Trovo spaventoso quando qualcuno dice «vogliamo raggiungere un influencer o un certo pubblico», cercando di portare un certo tipo di persone allo stadio, senza rispetto per i valori del club. A volte i club sono pronti a fare cose contro la propria cultura per ottenere nuovi tifosi. Nel momento in cui qualcuno ti percepisce come disperato, sei finito.
Ted: Riguardo a ciò che diceva David sulla maglia, la penso allo stesso modo. Ci sono un paio di motivi per cui penso che continuare a puntare così tanto sulle maglie sia rischioso. Primo, il trend delle maglie da calcio nella moda e nello street style potrebbe calare, e potrebbe accadere prima di quanto immaginiamo. Secondo, c’è tanta sovrapproduzione, saturazione, esagerazione, quindi inevitabilmente ci sarà una sorta di stanchezza nei confronti del prodotto. Se sei un club medio-piccolo che fa tanta leva sulle maglie, è meglio iniziare a diversificare quello che stai facendo.
David: Assumere un graphic designer e dire «vogliamo replicare quello che fa il Venezia» è facile. Ieri però quando mi hai detto «vogliamo cambiare un po’ il blu», nessuno sa la storia dietro quel cambiamento e una visione che lo supporta, solo chi ne sa quanto sia delicato apportare modifiche estetiche del genere.
Ted: Ha un’anima dietro. Abbiamo evitato quella parola finora, ma il nostro club ha un’anima che le persone possono percepire. Queste cose si sviluppano lentamente. Devi amare ciò che fai e avere una missione, e soprattutto credere in quella missione con pazienza e amore. Il Venezia FC ha avuto abbastanza successo da permettere a me e Sonya, se avessimo voluto, di andare a lavorare in un club di Premier League, guadagnare uno stipendio altissimo e vivere in maniera più agiata. Ma personalmente, lavorare per il Manchester City o lo United, dà l'idea di essere incredibilmente noioso. Che tipo di crescita personale potrei ottenere da questo?
David: Non ti lasciano carta bianca in quei club.
Ted: Non voglio romanticizzare troppo. Ci sono giorni in cui penso di mollare tutto. Penso «voglio andare su un’isola e scappare perché è incredibilmente difficile». Ci sono giorni in cui mi chiedo se sofferenza, sacrificio e stress valgano la pena.
Sonya: Non puoi arrenderti, devi continuare a spingere avanti e proteggere la tua visione. Il successo non arriva di certo da un giorno all’altro, ma noi credevamo davvero molto nel progetto del Kallithea, e a un certo punto, la visione si è realizzata.
David: Cosa hai detto prima? La direzione creativa non è una democrazia?
Ted: Ho detto che la direzione creativa deve essere un punto di vista unico; non è una democrazia. E io non posso prendermi tutto il merito, viene da Alessandro Simonetti.
David: Sono d'accordo, lo sostengo da tempo. Quando c’è uno scontro culturale, non voglio nemmeno provare a discutere uno spunto creativo con qualcuno con un punto di vista diverso.
Ted: Poi ovviamente le collaborazioni sono super importanti se fatte con le persone giuste che hanno una sensibilità giusta. Quello che non voglio mai fare è discutere e trasformare il processo creativo in una democrazia con persone commerciali o operative, o il presidente e gli azionisti. Non funziona.
Sonya: Non possiamo condividere un tutorial su come replicare questo.























































