Guida definitiva ai tatuaggi sulla schiena dei calciatori Leoni, simboli religiosi e tanto altro

Quando un calciatore si toglie la maglia dopo un gol, o la scambia con un avversario a fine partita, vedere più tatuaggi che pelle libera non è una stranezza ormai da tempo. Non si tratta di un’esclusiva calcistica o sportiva ovviamente, e va da sé che gli habituè del torso nudo sotto la curva siano per definizione avvezzi all’inchiostro, ma anche i meno attenti avranno notato il trend: sotto alla maglia da gioco c’è sempre più spesso una seconda divisa, personale. A volte con decorazioni tutto sommato discrete, altre con fantasie ipnotiche e affreschi incredibilmente articolati, in primis sulla tela che più di tutte si presta per opere d’arte del genere: la schiena.

Viene in mente quella di Zlatan Ibrahimovic ad esempio, soprattutto da quando ha aggiunto un leone che ruggisce. Oppure Nicolás Otamendi, binge-watching su pelle umana, con i volti di serie tv come locandine di uno spot televisivo; o Andre Gray, che con una maratona di 72 ore si è inciso un mosaico con Martin Luther King, Malcolm X, Muhammad Ali, Nelson Mandela, Rosa Parks e altri volti storici della black culture, di cui il calciatore vuole portare in campo le battaglie sociali in ogni partita. O ancora il dorso di Mauro Icardi, un altare barocco, e quello di Leroy Sané, autocelebrativo con un gol contro il Monaco nel 2017, peraltro in un doppio confronto perdente per il suo Manchester City ma forse un po’ affrettato, come ha ammesso il diretto interessato: "oggi farei scelte diverse". Passando per il curioso THEN sul coccige di Wayne Rooney, un omaggio a "okay, then" che ripeteva sempre in tenera età. Sono tanti i casi e gli stili, ognuno con un pezzo di storia - propria, altrui o di qualcos’altro - da raccontare.

Back-piece autobiografici

Tra gli infiniti back-pieces, ovvero tatuaggi a schiena completa, che rientrano nella categoria trailer autobiografico, nessuno ha l’enfasi e lo storytelling dell’enorme leone sul dorso di Memphis Depay. "Sono cresciuto in una giungla e ho il cuore di un leone", racconta l’olandese di origini ghanesi, protagonista di un’infanzia travagliata e raccontata nella sua autobiografia, appunto, Heart of a Lion. "Il leone mi rappresenta, sono rimasto in piedi quando era tutto difficile intorno a me". Il tatuaggio è stata un’opera mastodontica, tanto per le dimensioni quanto per i dettagli, e ha richiesto 24 ore di lavoro continuo in uno studio di Manchester.

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Un altro celebre leone, ma in versione più realistica, è quello che nel 2018 ha occupato tutto lo spazio residuo sulla schiena di Ibrahimovic. Un tatuaggio dinamico, che sembra guardare l’osservatore e animarsi quando lo svedese contrae i muscoli dorsali in palestra, come svelato ovviamente dal diretto interessato sui social. Il disegno si incastra e si arricchisce con una carpa Koi della tradizione giapponese, il simbolo sacro buddhista dello Yantra delle Cinque Divinità, il Vitruviano di Leonardo Da Vinci e tanto altro, su un corpo che in un modo o nell’altro ha sempre preteso di parlare al pubblico.

Lo stesso si può dire di Sergio Ramos, un’enciclopedia mistica. Sul dorso dello spagnolo convivono un acchiappasogni con le sue iniziali, la scritta "only those who went hungry with me will eat at my table" e l’ennesimo leone. Una serie di opere pensate e realizzate con un guru dell’ink: Rodrigo Gálvez, condiviso con tanti altri sportivi oltre all’ex difensore del Real Madrid, che in una recente intervista ha raccontato le sue sedute notturne per completare l’opera fuori dall’orario di allenamento.

Simbologia sudamericana

El más grande, Lionel Messi, ha il più classico in assoluto: la dedica alla mamma. A differenza di braccia e spalle, dove i tatuaggi non si contano, nessun back-piece, ma un singolo disegno del volto della madre Celia sulla scapola sinistra, che risale al 2010, quando Leo aveva 18 anni. Arturo Vidal invece ha trasformato la sua schiena in un simbolo di appartenenza, con un emblema andino come il condor ad ali spiegate, una grande croce e i nomi dei figli Alonso ed Elisabetta. E poi c’è Ederson, numero 1 del Manchester City, che oltre al solito leone (a proposito: ci sono anche Rodrigo De Paul, Edgar Barreto, Angelino e molto altri) ha optato per un paio di guanti da portiere che afferrano un pallone, un’aquila e un Cristo-angelo sulla nuca: un mosaico che riassume ruolo sul campo, fede e indole.

Lo spartito cambia con il già citato Nicolas Otamendi, che porta sul dorso, oltre a un ingombrante e curioso fiocco di neve, i volti di Thomas Shelby, Walter White (due volte) e Ragnar Lothbrok, protagonisti delle serie televisive Peaky Blinders, Breaking Bad e Vikings. E sulla stessa lunghezza d’onda si colloca Neymar, che nel 2018, la leggenda narra mentre giocava a poker online, nello studio dell’amico Thieres Paim, ha fatto spazio a Batman, Spiderman, Goku e un Power Ranger, con un'enorme scritta lungo la spina dorsale: BE YOUR HERO. E di certo sappiamo che O’Ney è un eroe per il connazionale Richarlison, che nei giorni dopo l’eliminazione del Brasile in Qatar si è tatuato un maxi-ritratto di sé stesso con due icone verdeoro a fianco: Ronaldo e lo stesso Neymar.

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Restando in zona Seleção c’è poi Vinicius Jr, che nel 2023 è volato a Los Angeles per farsi tatuare da Ganga un collage di icone sportive: Kobe Bryant, Muhammad Ali, Pelé e Michael Jordan. Un disegno che in poche ore ha fatto il giro dei social per un dettaglio singolare: l’atto di tiro in cui è ritratto MJ, con la mancina, in teoria la sua mano debole. "Anche i miti possono cambiare mano", ha risposto ironicamente Vini a chi ne evidenziava l’inaccuratezza, mentre Ganga ha precisato che sono state le esigenze compositive a convincerli a ribaltare il disegno originale.

Nell’universo latino si segnala infine il già citato back-piece di Mauro Icardi: la firma sulla sua schiena è Valentino Russo, tatuatore di tantissimi calciatori visti in Serie A tra cui Zaccagni, Insigne, Politano, Di Lorenzo e Mazzocchi, e pure dell’ex ct della Nazionale Luciano Spalletti con lo Scudetto 2023 vinto a Napoli e marchiato sull'avambraccio. Nel caso di Icardi, Russo è volato a Istanbul per una maratona che ha completato il suo dorsale, in cui si stagliano un arcangelo Michele a spada sguainata e una serie di figure mitologiche, che sovrastano i ritratti delle figlie. In Italia nessuno ha dimenticato il suo stile, uno dei più iconici ma non certo un caso isolato.

Tatuaggi scandinavi

Daniel Agger è stato probabilmente il capostipite dei calciatori tatuati e anche oggi, nonostante siano passati diversi anni dal suo ritiro ufficiale, resta una figura di riferimento. Merito anche di un villaggio vichingo che si sviluppa lungo la sua schiena in cui compare anche la sagoma di Holger Danske, figura della mitologia danese che siede tra quattro tombe di altrettanti re danesi. Il quadro è completato da tre teste vichinghe riprodotte sulla parte inferiore della schiena.

Västerås è invece la città svedese da cui proviene Victor Lindelof, difensore ex Manchester United, esponente anche lui della schiena tatuata. Nel suo caso è un insieme di stili. Il riferimento alla città natale si trova nella parte bassa del fianco destro dove appare la foto di un bambino accanto ad un orologio ed una serie di cartoline, probabilmente riferimenti a città in cui ha giocato oppure ha vissuto. A completare la striscia inferiore c’è un rullino che si apre per mostrare altri simboli legati alla vita di Lindelof dato che, come ha spiegato lui stesso, molti dei suoi tatuaggi hanno un significato personale. Nella parte superiore della schiena, invece, tre statue romane sono poste di fronte a cartine emisferiche.

Leoni, ali e iconografia sacra

L’inchiostro più popolare nel campionato italiano, insieme a Valentino Russo, è quello di Enzo Brandi, attivo tra gli altri sulla pelle di De Rossi, Dimarco, Callejon, Calafiori, Candreva e in passato anche di Josè Mourinho. Un altro universo in cui non mancano i grandi predatori della savana: il ghepardo in stile iper-realistico di Matteo Politano, presentato dall’esterno offensivo del Napoli come un emblema di fame e corsa; e la famiglia - leone, leonessa e due cuccioli con il mare sullo sfondo - di Lorenzo Insigne. I leoni sono rintracciabili anche sulle schiene di Lautaro Martinez e Gianluca Scamacca così come anche Xavi Simons ne ha inserito uno in quello che assomiglia ad un ritratto di famiglia.

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Poi c’è la corrente delle grandi ali, oggi d’attualità con il brasiliano Roberto Firmino insieme a stelle, versi biblici, riferimenti familiari e la Champions League vinta col Liverpool. Corrente in Serie A popolare fin dai tempi di Djibril Cissé. Il più articolato che viene in mente è quello XXL di Radja Nainggolan, ex Roma e Inter, che sopra a due monumentali ali ha inciso le date di nascita e morte della mamma Lizy, scomparsa nel 2010. "Le porto sempre con me", ha spiegato il Ninja, che ha esultato dopo tanti gol allargando le spalle come a far volare il tatuaggio. Anche Francesco Acerbi, insieme alla vasta gamma di leoni sparsi su tutto il corpo, presenta un paio di grosse ali sulle spalle, notate da mezza Europa dopo il gol del 3-3 in semifinale di Champions League contro il Barcellona, con annessa esultanza senza maglia.

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Last but not least, ci sono le schiene di Pasquale Mazzocchi e Federico Bernardeschi. Quest’ultimo si è rivolto al tatuatore Murran Billi, altra mano popolare nel mondo calcistico, con cui ha lavorato al 13 in omaggio a Davide Astori, e tutto intorno a una serie di croci, arcangeli, preghiere e altri simboli religiosi, incastonati in un dedalo di motivi rinascimentali. Una devozione ancora più ostentata da Mazzocchi, che dalle spalle in giù è un mega-manifesto della sofferenza biblica di Cristo: "la fede è tutto", spiega l’esterno del Napoli, "se non credi in Dio non credi in nulla. Mi hanno criticato in tanti per questo tatuaggio, ma io sono un vero credente".