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Per Trump Michael Jordan e il Jumpman sono simboli da gang

Un’altra storia assurda che coinvolge il Presidente degli Stati Uniti

Per Trump Michael Jordan e il Jumpman sono simboli da gang Un’altra storia assurda che coinvolge il Presidente degli Stati Uniti

Nel 2025, negli Stati Uniti d’America, un tatuaggio con la sagoma di Michael Jordan, un paio della sua linea di scarpe o una maglia numero 23 dei Chicago Bulls possono costituire un indizio di reato. O meglio, rappresentano tratti distintivi da cui desumere la possibile appartenenza a un gruppo criminale venezuelano, il Tren de Aragua. Lo stabilisce l’Exhibit 2, un controverso documento redatto di recente dal Department of Homeland Security (DHS), in cui i loghi di Jordan e dei Bulls sono citati tra i potenziali segni riconoscibili degli affiliati alla “gang più pericolosa al mondo”, usando le parole di Donald Trump.

"L’organizzazione più destabilizzante dell’America Latina", così l’ha dipinta Oscar Naranjo (ex vicepresidente colombiano), è nata a inizio millennio nel nord del Venezuela. In breve poi si è evoluta su scala transnazionale, distinguendosi per i tipici reati "parastatali" - violenze, sequestri di persona, estorsioni, traffico di droga, armi ed esseri umani - e arrivando nel 2024 a contare più di 5.000 militanti, con un giro d’affari oltre i 15 milioni di dollari annui. In questa espansione, l’intensificarsi dei flussi migratori regionali ha favorito la nascita delle prime basi anche negli States, con episodi di violenza a Chicago, New York, Salt Lake City e altre città del Paese.

Non sorprende, al netto di tutto ciò, che nel 2025 il primo nemico dell’organizzazione sia diventato Donald Trump. A marzo il leader repubblicano ha "ufficialmente classificato il gruppo, al pari dell’MS-13 (Mara Salvatrucha) e dei cartelli messicani del narcotraffico, come organizzazione terroristica straniera". Un pretesto per la consueta retorica anti-immigrazione, e per provvedimenti drastici come espulsioni e deportazioni di cittadini venezuelani, che hanno attirato critiche da ogni angolo del mondo; non solo per l’incostituzionalità degli espatri forzati, ma anche per i dubbi criteri adottati per il riconoscimento dei (presunti) criminali.

Jumpman e altri indizi

Il "Jumpman", la celebre silhouette di Michael Jordan che vola a canestro, lo storico logo del suo brand, è una delle prime immagini allegate all’Exhibit 2. Cioè il documento che contiene le "linee guida" stilate dall’unità investigativa del DHS per "aiutare gli agenti federali ad identificare i membri del Tren de Aragua"; un testo distribuito tra le forze dell’ordine, con l’invito ad applicarne le direttive nei punti di frontiera.

All’interno del dossier sono elencati i possibili indizi da cercare: precedenti, conoscenze, tatuaggi, capi d’abbigliamento e una serie di altri indicatori, con i relativi punteggi. Ad esempio vengono assegnati quattro punti per un "Jumpman", così come per altri tatuaggi: corone, treni, AK-47, orologi. Quattro punti anche per chi veste una maglia dei Bulls o un paio di sneakers Jordan, e sei per chi ha avuto un contatto telefonico diretto con membri accertati del gruppo. Due punti per prodotti di artisti riconducibili alla cultura gang, come Anuel AA, un punto per la condivisione di post sospetti sui social, e via dicendo. Raggiunta quota otto punti, l’individuo viene schedato e diventa passibile di espulsione.

L’uso di questo sistema è fondato sul ricorso all’Alien Enemies Act, una legge del 1798 resuscitata da Trump per inquadrare centinaia (migliaia) di migranti venezuelani come "minaccia alla sicurezza nazionale". E quindi per espellerli o deportarli senza un’accusa formale, un processo o una sentenza, sulla base di un ordine esecutivo che ha sostanzialmente trasformato i sospetti visivi in criteri operativi.

Reazioni

La gravità del meccanismo è emersa in tribunale, dove un giudice federale, James Boasberg, ha ordinato la sospensione delle espulsioni, evidenziando che la legge richiede condizioni come una dichiarazione di guerra o un’invasione, senza però riuscire ad impedire la partenza dei voli diretti verso El Salvador, Ecuador e Venezuela. "Non ci interessa, facciamo quello che vogliamo" è stata l'agghiacciante risposta governativa, trascritta a verbale, di fronte alla corte. Nel frattempo, in poche settimane più di duecento venezuelani sono stati trasferiti all’estero. Alcuni sono comparsi nei video diffusi dal governo salvadoregno di Nayib Bukele, all’interno del - tristemente noto - carcere di massima sicurezza CECOT, con i tatuaggi in bella mostra come prova di affiliazione.

Prevedibilmente le reazioni sono state dure. Secondo Bill Hing, professore di diritto di San Francisco, "è oltraggioso identificare membri di gang basandosi su tatuaggi o elementi estetici". La giornalista Ronna Rísquez ha parlato di "fantasie istituzionali", e dell’Exhibit 2 come uno xenofobo strumento politico; e per il criminologo Andrés Antillano, i criteri adottati al suo interno "ci raccontano la distanza tra costruzione politica e realtà criminale". Il quotidiano britannico The Independent ha svelato che la maggior parte delle immagini allegate al documento sono state trovate online, e fuori contesto. Alcune ad esempio sui siti web di tatuatori inglesi e indiani, come una scritta "HJ" che è un’opera di un tatuatore di New Delhi, rappresentante le iniziali di un amico e sua moglie. In ogni caso, tutte queste critiche non hanno fermato il processo in atto, né convinto il DHS a rivedere i propri criteri.

Precedenti

L’associazione tra simboli sportivi e gang culture negli USA non è nuova. Già in passato diversi gruppi criminali hanno adottato loghi, colori e divise di squadre per rappresentare la propria identità. Vediamo qualche esempio. I Rollin’ 60s Crips erano noti per indossare cappelli dei Seattle Mariners, associando la "S" iniziale e il colore blu al nome e alla propria simbologia. Immediato il nesso tra Latin Kings e Los Angeles Kings, ed esulando dall’universo sportivo quello tra Vice Lords e la sigla di Louis Vuitton (in alternativa, la maglia dei Chicago White Sox). I Gangster Disciples hanno reinterpretato il nome Hoyas come acronimo ("Hoover’s On Your Ass"), e trasformato in una corona a sei punte il collare della mascotte di Georgetown. E poi ci sono tutti i casi di semplice appartenenza territoriale.

Una volta emerse in superficie, comunque, queste connessioni non vengono mai commentate direttamente dai brand coinvolti. Per ovvi motivi, di mercato e di reputazione, gli stessi che invece nel 2018 portarono Nike a ritirare un passamontagna dalla propria linea di produzione, in risposta alle tante accuse di strizzare l’occhio alla gang culture londinese. Per il resto, come normale che sia, i grandi marchi tendono a ignorare queste associazioni. L’attualità in ogni caso mostra che sotto osservazione non sono i brand, ma chi li indossa. Anche quando si tratta di una delle divise più popolari dello sport mondiale, del giocatore di basket più amato di sempre, di prodotti e comportamenti estremamente diffusi. Se sei venezuelano e sei finito nel mirino dell’immigrazione americana, può bastare un outfit sbagliato, o qualche precedente ambiguo, per diventare un membro del Tren de Aragua. E sparire.