Nel calcio, la nostalgia sta soffocando la creatività Riuscirà a lasciare un impatto sulle nuove generazioni?

Total 90, Teamgeist, Predator, le riedizioni delle vecchie Mercurial e Hypervenom. È quasi automatico riferirsi ad adidas e Nike quando si vogliono fare analisi ed esempi sui grandi brand dello sportswear per capire come operano nel calcio, ma è diventato scontato. Gli anni Duemila e Duemiladieci sono stati dominati da Nike, che ha lasciato - per chi ha scoperto e si è appassionato al calcio tra il 2000 e il 2015 - un impatto notevole, probabilmente senza precedenti. Se invece si guarda ancora più indietro, fare riferimento ad adidas diventa inevitabile. L’uscita delle prime Predator e l’inizio della loro saga, grazie a una figura immensa come David Beckham, a fine anni Novanta, hanno segnato una tappa storica difficilmente superabile per quelle generazioni che, ancora oggi, rientrano sotto l’etichetta di "giovani". E questo è un dato difficilmente contestabile.

È anche vero, però, che gli stessi brand sembrano essere rimasti intrappolati in una fase di stallo, ancorati a quei momenti in cui tutto funzionava alla perfezione: i migliori atleti erano vere e proprie icone generazionali, poster boys capaci di ispirare milioni di giovani, e si viveva il calcio e lo sport in un modo totalmente diverso da oggi. Proprio per questo, quel periodo è diventato una tappa talmente importante nella narrazione dei brand che oggi superarlo appare non solo difficile, ma quasi blasfemo. Perché mai uscire da quella zona di comfort che aveva portato tanta fortuna? Serve davvero investire in nuovi sforzi di design e innovazione, se si possono semplicemente rimettere sul mercato i vecchi modelli? Un discorso che vale non solo per gli scarpini, ma anche per i kit e, in generale, per ogni tipo di equipment pensato per il calcio - sia a livello professionistico che amatoriale.

Una stagione spartiacque

Quella che inizierà ad agosto è chiaramente una stagione spartiacque: adidas ha riportato in auge il Teamgeist, il famoso template che debuttò nel 2006, posizionandolo sulle maglie delle migliori squadre del proprio roster - quelle che conosciamo come Tier A e A+, insomma. Nike, invece, secondo le voci, reintrodurrà il Total 90 su alcune terze maglie dei suoi club più importanti: uno scontro limpido tra i due brand più famosi di sempre nello sportswear, che si sfidano a colpi di nostalgia. Ma quali sono i problemi o le probabili conseguenze di questo stallo che sembra avvolgere i brand sportswear nel macrocosmo del calcio? Il primo grande problema è inevitabilmente quello del pubblico di riferimento. Nike e adidas stanno producendo gli stessi articoli di vent’anni fa, senza considerare che quella comfort zone tanto protetta potrebbe rivelarsi invece una trappola.

Partendo dal presupposto che si spera di fare colpo sulle nuove generazioni - in particolare sui ragazzi tra i 12 e i 18 anni - nello stesso modo in cui, vent’anni fa, si conquistavano i coetanei di allora, si rischia di trascurare un punto fondamentale: l’impatto potrebbe essere molto più limitato, e le nuove generazioni potrebbero avere standard di gusto e criteri di apprezzamento radicalmente diversi. In questo contesto, il ragionamento di adidas e Nike potrebbe essere molto semplice: se con una nuova strategia non ho alcuna certezza (ovviamente) di conquistare il favore dei giovani di oggi, tanto vale puntare su un pubblico già fidelizzato. Ovvero, su quella fascia di utenti oggi tra i 28 e i 35 anni, che all’epoca si erano appassionati a una narrazione incentrata sugli atleti e sugli item a loro associati, diventati poi, di riflesso, veri e propri best seller.

L'assenza di competitor come problematica principale

Per quanto gli sforzi di PUMA siano stati significativi negli ultimi anni, il brand continua a mancare di quell’allure e di quelle fondamenta solide che possano realmente portarlo al livello di Nike e adidas. A pesare è, tra le altre cose, un budget inferiore e, di conseguenza, un roster di atleti che non è minimamente paragonabile. È impossibile ignorare il fatto che il successo di uno scarpino - più di qualsiasi altro item - dipenda in larga parte dal successo e dall'aura di chi lo indossa. E PUMA, semplicemente, non ha atleti all’altezza: Griezmann e Neymar Jr. si sono rivelati, ahimè, due esperimenti falliti per il brand.

L’assenza di una vera competizione in questo senso ha sicuramente contribuito a un appiattimento della creatività e a un abbassamento generale degli stimoli. Non è un caso, infatti, che nel calcio si sia progressivamente persa una componente forte di innovazione - soprattutto nel calcio maschile. Un tempo, Nike rappresentava il futuro: era il brand che rompeva gli schemi, che innovava. Oggi, questa spinta sembra essersi smarrita. Perché? Perché Nike non ha realmente bisogno di investire nel calcio maschile come una volta. Ritiene di avere ancora un nome e uno status abbastanza solidi da potersi permettere di rafforzarli semplicemente pescando dal proprio archivio. Le collezioni nostalgia, come il ritorno delle maglie T90 e dei remake storici, sono l’esempio più evidente di questa strategia.

 

Il calcio e gli sport femminili come "next big thing"

L'Europeo femminile in Svizzera è in corso, e per Nike (un po' meno per adidas) rappresenta un palcoscenico importante: le nuove maglie disegnate per le squadre sponsorizzate dallo Swoosh portano una ventata d'aria fresca. Dal design - si noti l'attenzione riservata ai colletti, in particolare quello della Nazionale francese - al crest che unisce estetica e performance (realizzato con la tecnologia LiteFlex), fino allo swoosh e ai bordi delle maniche realizzati con Nike Grind, una collezione di materiali riciclati. L'approccio al calcio femminile deve essere chiaramente diverso rispetto a quello maschile, e il brand lo sa bene. Con uno sport che punta a diventare sempre più rilevante nel panorama mondiale, forse è arrivato il momento giusto per sperimentare e creare nuovi standard, pensati per un pubblico che si sta formando ed espandendo proprio ora.

Per intenderci: se Total 90 e Teamgeist hanno rappresentato l’archetipo delle maglie da calcio per intere generazioni, tutte le innovazioni estetiche e prestazionali che stanno debuttando ora nel calcio femminile contribuiranno a costruire, nella memoria collettiva degli appassionati, un nuovo standard estetico. Forse il primo davvero riconoscibile, perché i grandi palcoscenici portano con sé grandi design.