
Jade Rose, da Harvard al Manchester City Abbiamo intervistato la calciatrice canadese in vista dell'inizio della Barclays WSL
La Barclays WSL sta per cominciare e non potevamo addolcire l'attesa in modo migliore: intervistando una delle protagoniste del mercato in entrata del Manchester City, squadra vincitrice della penultima edizione del massimo campionato calcistico inglese. Stiamo parlando della canadese Jade Rose, un’atleta spesso al centro delle cronache più per la sua storia recente che per le sue doti sportive. Jade Rose è fuori dagli schemi; ha una storia in netta contrapposizione con le sue nuove compagne di squadra.
Proprio per questo rientra perfettamente nella nostra linea editoriale: raccontiamo storie di atleti che abbiano qualcosa in più da condividere, qualcosa che li renda davvero unici. E Jade Rose, per aver studiato ad Harvard, è spesso considerata una personalità – prima ancora che un’atleta – fuori dal comune.
È bello anche riflettere sul fatto che la massima divisione calcistica femminile, in Inghilterra, porti ancora l'appellativo di Barclays, un nome che in passato distingueva la Premier League e che ha segnato il periodo di maggiore stravaganza e unicità della competizione. Si pensi al trend #BarclaysEra, spopolato tra il 2024 e il 2025 su TikTok e Instagram, uno sguardo nostalgico alla stravaganza dei calciatori che hanno abitato quella lega nel suo massimo periodo di splendore estetico.
Quest'estate, nel mezzo di un caldo agosto, abbiamo intervistato Jade Rose.
Come riesce una calciatrice a bilanciare lo studio ad Harvard e gli impegni calcistici?
Sono cresciuta in una famiglia in cui l’istruzione è sempre stata molto importante. I miei genitori non hanno mai avuto particolari richieste se non quella di impegnarci: avere un’istruzione universitaria apre tantissime porte e offre molte opportunità, permettendoti di vivere la vita che desideri. Crescere con questa consapevolezza è stato un aspetto "non negoziabile" in famiglia.
Sapere fin da piccola che il calcio era la mia passione mi ha spesso messo davanti all’idea di dover scegliere tra studiare e diventare calciatrice, una scelta difficile se pensate al fatto che da piccoli non si è abbastanza maturi per prendere decisioni così complesse. Ed è per questo che il sistema universitario americano mi ha dato una grossa mano: sa offrire ai giocatori la possibilità di seguire entrambe le passioni e sviluppare entrambi gli aspetti della propria identità.
Ovviamente anni fa non pensavo davvero che avrei frequentato Harvard e, onestamente, non l’avevo mai considerata. Ma quando mi hanno contattato e mi hanno presentato la possibilità di frequentare un’istituzione così prestigiosa, è stato davvero difficile dire di no.
Com’era una giornata tipo quando frequentavi Harvard?
È cambiata molto dal primo al quarto anno. Nei primi due anni si ha meno controllo sulle classi e sugli orari, mentre al terzo e quarto anno avevo maggiore autonomia. Di solito mi alzavo alle 7 e mi dirigevo verso le strutture per ricevere un trattamento, sia per curare eventuali infortuni, sia per la manutenzione fisica e prepararmi al campo.
Poi facevo colazione e avevo una sessione di allenamento individuale con i miei allenatori, intorno alle 10. Successivamente prendevo un pranzo da portare e lo mangiavo durante la prima lezione, di solito verso mezzogiorno. La prima lezione durava dalle 12 alle 13:15, la seconda dalle 13:30 alle 14:45. Dopodiché tornavo alle strutture per l’allenamento di squadra e per fare sollevamento pesi. Dopo la pratica seguiva la cena e il resto della serata lo trascorrevo studiando, preparando compiti, relazioni, presentazioni o ricerche. Le mie giornate iniziavano quindi alle 7 del mattino e terminavano intorno a mezzanotte.
Sei sempre stata abituata a trasferirti per lavoro e studio: come ti trovi a Manchester?
Andare all’università e allontanarmi da casa a 18 anni mi ha preparato in un certo senso a trasferirmi in un paese diverso e più lontano dal Canada. Lo staff e la squadra sono stati incredibili nel supportarmi e nell’aiutarmi ad affrontare le piccole difficoltà del trasferirsi in un nuovo paese.
Manchester è ancora tutta da scoprire. Essere in una nuova città, immersa in una cultura diversa e circondati da persone nuove, offre l’opportunità non solo di esplorare l’ambiente, ma anche di esplorare se stessi e la persona che si vuole diventare. All’università è facile lasciarsi influenzare dagli altri, nel modo di vestire o negli interessi, ma essere in una città così diversificata mi permette davvero di capire chi sono e chi voglio diventare.
Sarà un’esperienza piena di novità, come il debutto nella Women's Super League…
Sono incredibilmente entusiasta di giocare nella Women' Super League, di lottare per tornare in Champions League, per i titoli e per giocare partite che contano settimana dopo settimana.
Pensi che la città di Manchester possa influenzare il tuo stile?
Tutti i background che ho frequentato hanno influenzato il mio modo di vestire, su tutti Harvard, dove è normale indossare capi comodi come felpe e pantaloni sportivi. Anche Manchester influenzerà la mia estetica. In questo momento il mio brand preferito è Acne Studios, ma compro molto usato, nei mercatini. Acquisto capi di seconda mano perché credo che riciclare e fare la propria parte possa avere un impatto positivo. Penso che il mio guardaroba cambierà con l’influenza della cultura inglese. Una cosa che ho notato nella prima settimana qui è che le persone escono sempre curate, a meno che non vadano in palestra.
Si thrifta meglio in Canada o nel Regno Unito?
Dipende dall’area in cui ti trovi. La maggior parte della mia vita ho comprato second hand e usato solo in Canada. Non ho ancora esplorato molto a Manchester, ma sono curiosa di vedere cosa offre. Spero che Manchester sia meglio del Canada: non che il Canada fosse male, ma se sarà meglio, sarò felice.
Il Canada ha potenziale per diventare rilevante a livello globale?
Il calcio in Canada è cambiato drasticamente negli ultimi anni. Avere tanti giocatori della nazionale che giocano all’estero ha catalizzato attenzione sul livello del nostro gioco. Molte squadre ci sottovalutano, ma storicamente ci siamo dimostrati all’altezza sul palcoscenico mondiale e vogliamo continuare a farlo nella Coppa del Mondo, alle Olimpiadi e nelle altre competizioni. Venire a Manchester e dimostrare chi sono come giocatrice significa anche mostrare il valore dell’intero sistema calcistico canadese e la sua capacità di far crescere i giocatori. Una lega nazionale femminile, lanciata lo scorso anno, sta facendo passi da gigante e progredisce più velocemente di quanto il calcio canadese abbia mai fatto.
Questa lega farà crescere non solo la nazionale, ma soprattutto i tanti giocatori che altrimenti non avrebbero avuto un contesto domestico. È ancora al primo anno, ma nel prossimo decennio, con la crescita e l’attrazione di nuovi talenti, contribuirà a far crescere il calcio in Canada e a costruire quella cultura calcistica che vediamo in Europa.





























































