
Perché i podcast degli sportivi ci piacciono così tanto? E quali sono i migliori?
Esiste un podcast per qualsiasi argomento. E d’altronde questa era la missione agli albori: prendere un tema che potesse interessare una nicchia di appassionati per rivolgersi a quelle persone offrendo un prodotto curato, approfondito, che giustificasse quella passione. Era l’evoluzione dei forum. Se volevi essere parte di una community dovevi staccarti dalla tastiera, allontanarti dalle chat per infilarti le cuffiette. I successi ottenuti dai pionieri convinsero giornalisti, blogger o semplici entusiasti armati di iniziativa e microfono a registrare il loro punto di vista sul loro argomento a piacere. La forza dei podcast era questa, e lo è ancora, ovvero quella di potersi rivolgere ad un pubblico potenzialmente enorme, grazie allo streaming via internet e poi via app, ma comunque perfettamente riconoscibile e circoscritto. Il tutto coltivando una relazione intima con l'ascoltatore, sempre incline a consumare il prodotto all’interno di un momento privato della sua giornata, che a sua volta si sviluppa nel tentativo di creare una community. In fin dei conti, non si è mai realmente da soli quando si ascolta un podcast. Un po’ come accade con la radio, sei certo che qualcuno stia ascoltando le stesse cose che stai ascoltando tu e stia provando le tue stesse emozioni. Una linea di azione e pensiero fatta su misura per il pubblico di appassionati di sport, sempre affamati di nuovi contenuti.
I podcast hanno catturato immediatamente il pubblico sportivo perché si respirava un’aria differente, come se gli host e gli ospiti avessero l’opportunità di dire quello che volevano senza filtri. Nessuna limitazione, nessun argomento off limits come ad esempio può accadere in televisione. Uno degli esempi più famosi coinvolge Colt Cabana, wrestler con una lunga carriera nella scena indipendente e host di “The art of Wrestling”, il precursore dei podcast sul wrestling lanciato nel 2010. L’episodio più famoso della sua serie è il 226 del novembre 2014 ovvero l'intervista a CM Punk, la prima uscita ufficiale del wrestler di Chicago dopo il licenziamento da parte della WWE avvenuto qualche mese prima. In quell’intervista Punk raccontava per filo e per segno le discussioni dietro le quinte e i passaggi che portarono al suo licenziamento, avvenuto ufficialmente con la consegna della lettera da parte della WWE nel giorno del suo matrimonio. Per gli appassionati di wrestling questo episodio ha avuto la stessa portata del "Curtain Call" ovvero l’episodio del 1996 in cui quattro dei wrestler più importanti dell’allora WWF spezzarono la kayfabe per chiudersi un abbraccio, facendo cadere le divisioni tra buoni e cattivi. Nel caso di CM Punk, per la prima volta un wrestler raccontava senza filtri di essere stato maltrattato dalla federazione, nella persona di Vince McMahon, prima di essere licenziato.
I migliori podcast
Oggi lo scenario è cambiato e i podcast sportivi si sono evoluti. Hanno perso parte della natura selvaggia degli albori, smettendo di essere produzioni amatoriali. Si sono trasformati in contenuto di massa, aiutati anche dall’introduzione dei video e quindi dall’evoluzione in vodcast. Ma anche in questo contesto professionale, i podcast hanno mantenuto quell’aura da acque internazionali in cui tutto è permesso. Lo sviluppo degli ultimi anni è che i prodotti di maggiore successo coinvolgono ex professionisti oppure atleti ancora in attività. Entrambe le categorie sono attratte dalla possibilità di parlare direttamente ai loro fan, di poter controllare la narrazione sul proprio conto e dalla libertà di espressione che offrono i podcast senza dover per forza sottostare alle linee editoriali di una rete o di un network.
Nel calcio abbiamo The Rest Is Football, il podcast condotto da Gary Lineker insieme a Micah Richards e Alan Shearer in cui i tre ex calciatori discutono di tema di attualità legati principalmente al calcio inglese e successivamente quello internazionale, utilizzando un tono decisamente informale e che spesso sfocia nell’ironia. La stessa linea editoriale di The Overlap, produzione Sky Sports con Gary Neville, Jamie Carragher, Jill Scott, Ian Wright, e Roy Keane. In tedesco abbiamo Einfach mal Luppen ovvero il podcast condotto da Toni Kroos con il fratello Felix oppure Alleine ist schwer, il podcast di Mats Hummels. In Italia abbiamo avuto il caso della Bobo TV e successivamente Viva el Fútbol, progetto editoriale nato in seguito alla separazione di Daniele Adani, Antonio Cassano e Nicola Ventola da Christian Vieri.
Ogni sport ha i suoi esempi. Per la NBA sono innumerevoli: All the Smoke è la produzione curata da Matt Barnes e Stephen Jackson in cui commenti lapidari sull’attualità si mescolano a discorsi più approfonditi e interviste con ex giocatori, sempre inclini a fornire la loro versione dei fatti su un evento decisivo relativo alle loro carriere oppure offrire nuovi dettagli su un retroscena. Gilbert Arenas si è reinventato content creator con Gil's Arena, KG Certified è il podcast condotto da Kevin Garnett e Paul Pierce senza dimenticare che JJ Reddick, attuale head coach dei Los Angeles Lakers, prima di sedersi in panchina era un podcaster di successo grazie a The Old Man and the Three ma soprattutto a Mind the Game, il podcast condotto insieme a LeBron James. E proprio l’evoluzione di LeBron James in podcaster è stata la conferma definitiva dell’attrazione che i podcast avevano sui giocatori in attività, d’altronde lo stesso James era arrivato in coda a Paul George e Draymond Green per citarne un paio. Podcast che si rivolgono sia ad un pubblico generalista, grazie a interviste, aneddoti e giudizi senza freni, sia ad un pubblico più nerd attratto da quello che in genere vengono definiti "X's and O's", grazie ad analisi tecniche e tattiche ricche di dettagli e insights.
Abbiamo esempi anche nel tennis dove Andy Roddick ha preso lo stile analitico di JJ Reddick per adattarlo a Served, il podcast in cui l’ex tennista parla a cadenza settimanale su ogni aspetto dello sport, con interviste a protagonisti del presente e del passato. Nel mondo NFL i fratelli Travis e Jason Kelce dominano incontrastati con il loro New Heights. Sorprendentemente non ci sono esempi in F1 dopo la chiusura di Beyond Victory, il podcast condotto da Nico Rosberg, anche se nelle ultime settimana Guenther Steiner, ex Team Principal della Haas e personaggio di culto tra gli appassionati grazie a Drive to Survive, sta partecipando con sempre maggiore regolarità a The Red Flags Podcast. Infine nel mondo del motociclismo sta prendendo piede MIGBabol, podcast in italiano in cui Andrea Migno intervista piloti del presente e del passato.
Le interviste e gli aneddoti
Ma perché i podcast curati da ex atleti ci piacciono così tanto? Cosa li rende speciali? In linea teorica, l’ingresso di personalità mainstream avrebbe dovuto rovinare il gioco e invece ha avuto l’effetto di allargare a dismisura la community di persone che ascoltano podcast su base quotidiana. La base di partenza è che queste personalità hanno un pubblico interessato a sentire la loro opinione su un tema di attualità, un pubblico composto sia da fan che da hater. I primi giudicheranno come sincero un qualsiasi commento, un ragionamento sviluppato da chi ha vissuto in prima persona la realtà che sta descrivendo. I secondi invece saranno sempre iscritti al partito della malafede per cui quei commenti più sono tranchant e più sono falsi, necessari per essere ripresi da siti di informazione così che il nome dell’atleta e del podcast continuino a circolare.
A livello contenutistico ci sono due grandi filoni. Il primo è quello delle interviste e si lega al concetto di libertà di cui abbiamo parlato. Gli ex giocatori si sentono a loro agio a parlare con ex colleghi perché banalmente non hanno davanti un giornalista, ai loro occhi un nemico che cercherà di farlo cadere in una trappola per strappargli un titolo. Sentono di poter parlare tranquillamente e quindi di lasciarsi andare su qualsiasi tema. Rispondono a qualsiasi domanda con parole sincere e l’ascoltatore riesce ad intercettare questa sincerità. Capisce che più che una vera intervista si tratta di una chiacchierata tra amici in cui l’ospite si sente anche motivato a raccontare una storia interessante così da giustificare la sua presenza. Il risultato finale è che queste interviste sono meno schematiche di quelle realizzate da un qualsiasi network e quindi più godibili. Non è necessario dedicare la massima attenzione, si possono tenere in sottofondo mentre si fa altro.
Il secondo motivo si lega a quanto abbiamo scritto sino ad ora. Anzi: a dirla tutta è una diretta conseguenza. Perché sentendosi liberi di parlare, gli ospiti regalano aneddoti ovvero il Sacro Graal per i team che pianificano le pubblicazioni sui social. Contenuti evergreen che non muoiono mai e tornano ciclicamente nei nostri feed Instagram e TikTok oppure nelle chat Whatsapp. Quanto poi siano veri, autentici, gonfiati oppure semplicemente falsi non è dato saperlo. A noi risultano sinceri perché raccontati in prima persona da chi ha vissuto quel momento, facendo scattare un effetto a catena per cui aspettiamo l’intervista successiva con sempre più impazienza perché speriamo sempre che ci sia un ospite più importante della puntata precedente e che racconti degli aneddoti ancora più divertenti e memorabili di tutti coloro che ci sono stati prima di lui.




















































