
Kevin Durant ha un cappellino per ogni occasione E un modo tutto suo di scegliere quale indossare, dove, e perchè
Nella docu-serie Court of Gold, atterrata su Netflix lo scorso febbraio e dedicata alla spedizione di Team USA a Parigi 2024, c’è un primo piano che ha unito, incuriositi, gli appassionati di hockey NHL e basket NBA. Kevin Durant piange commosso di fronte alla camera, mentre racconta la sua esperienza olimpica, la quarta, anche questa chiusa con stelle e strisce ad avvolgere le spalle, e medaglia d’oro al collo. Il breve estratto di quell’intervista è diventato virale, superando sui social i venti milioni di visualizzazioni in meno di ventiquattr’ore, con un dettaglio che ha catturato l’occhio del pubblico. Il cappellino sulla testa di KD: un modello vintage con il riconoscibile logo Spoked-B dei Boston Bruins, squadra di hockey su ghiaccio del Massachusetts.
La domanda, guardando il numero 35 dei Phoenix Suns (oggi agli Houston Rockets) con l’emblema di una franchigia di un’altra città, è sorta spontanea: perché il copricapo di un’altra squadra e città, e non della propria? Perché non un prodotto della linea Boardroom, la sua piattaforma media, o della collezione KD True realizzata con Nike? E in ogni caso, perché proprio i Bruins? Interpellato in una conferenza stampa, Durant ha liquidato la scelta senza sprecare troppe parole. «It’s black»: spiegazione semplice e intenzionalmente semplicistica, parte di un copione già visto. È da più di dieci anni infatti che i cappellini del nativo di Washington entrano in scena, attirano le telecamere, le tendenze sui social, e poi puntualmente KD precisa che si tratta solo di gusto estetico. Niente di più, niente di meno. E soprattutto nessuna dietrologia, con buona pace di chi, per esempio a Boston, sperava nel classico e quasi mai attendibile indizio social.
Stile
Il primo caso documentato risale ai mesi del lock-out 2011, quando l’allora stella degli Oklahoma City Thunder si mostrava in un video domestico con uno snapback rosso dei Chicago Bulls. E se l’emblema dei Bruins ha dato il là alle chiacchiere e alle speculazioni degli ultimi mesi, immaginate in quel frangente, con una carriera davanti e lo stemma di un’altra franchigia NBA sopra la testa. «Le persone non indossano un cappello per la squadra che tifano», doveva chiarire Durant, un po’ seccato, ma anche compiaciuto di tutte quelle attenzioni non necessarie. «Scelgono di indossarlo perché il cappello è bello, e in questo caso perché era l’unico che avevo con me».
Tra le righe, ma neanche troppo, il messaggio: lasciatemi indossare quello che voglio. Sì, anche linee di squadre rivali, ed era un’anticipazione di quanto l’ex OKC avrebbe risposto anni più tardi per motivare la scelta dei Bruins. Puramente estetica, a detta di KD: un total black in tinta con la tracksuit olimpica della Nazionale statunitense. Ma a chi in tutte queste scelte ci vede anche una punta di provocazione, peraltro in pieno stile durantiano, possiamo dire con certezza che si sbaglia? Quando non pesca da altre franchigie, e quando non opta per il suo abituale cappuccio, o per altre tipologie più invernali di cappelli (come il beanie, visto spesso durante il soggiorno a Brooklyn), KD predilige modelli con visiera molto semplici. Con alcune costanti: palette scure, silhouette e loghi minimal, niente scritte o fantasie particolari. Nelle media availability e nei viaggi con la squadra, ad esempio, si mostra quasi sempre in tinte unite e neutre. Insomma, la maggior parte dei suoi copricapi racconta semplicemente un gusto estetico e cromatico essenziale, e in molte occasioni la curiosità finisce lì. Non è sempre così, però.
Storytelling
Nel 2013, in un allenamento aperto ai giornalisti durante i playoff, Durant si presentò con un cappellino verde-oro dei Seattle SuperSonics, la franchigia che l’aveva scelto al Draft e che nel frattempo si era trasferita a Oklahoma City. La foto rimbalzò su Twitter attraverso Bleacher Report e Yahoo Sports, e per qualche ora il pubblico di Seattle tornò a caldeggiare il tanto atteso (tuttora) ritorno dell’NBA in città. La stessa nostalgia che era riaffiorata qualche settimana prima, quando KD aveva fatto visita alla squadra femminile di Louisville (basket collegiale), reduce dall’upset ai danni di Baylor nel torneo NCAA. In quell’occasione il logo era dei Seattle Mariners (baseball), blu navy con S smeraldo. Un altro cappellino nostalgico si è visto infine nella primavera 2025, durante un workout privato in cui ha sfoggiato il classico burnt-orange dei Texas Longhorns: un omaggio alla sua parentesi universitaria ad Austin, Texas, prima di sbarcare tra i pro.
Kevin Durant likes his cupcake with a ring on top. (via @juliephayer) pic.twitter.com/h4VdDSuM4N
— SportsCenter (@SportsCenter) June 24, 2017
Nel giugno 2017 Durant ha scritto invece la pagina più controversa e indimenticabile di questa narrativa, nel giorno in cui la sua rivincita contro i detrattori fu affidata proprio a un disegno stampato sul cappello. Ad un evento benefico organizzato dal compagno JaVale McGee, il JugLife Celebrity Softball Game, KD indossò un berretto rosa con una cupcake e un Larry O’Brien Trophy (trofeo del campionato NBA); una risposta secca agli sfottò dei suoi ex tifosi, che dopo la firma per Golden State lo chiamavano proprio cupcake, seguendo il trend lanciato da Kendrick Perkins e Russell Westbrook. Un caso più recente è datato ottobre 2023, agli albori della convivenza con Devin Booker, dopo il trasferimento ai Phoenix Suns. In una gara di preseason a Detroit, città natale di D-Book, i due hanno indossato lo stesso dad-hat dei Tigers, franchigia MLB di Motor City. Per il primo si trattava di un legame personale, per il secondo invece ragioni di gusto e forse la voglia di lanciare un messaggio di sintonia alla co-star della squadra. Al suo arrivo in città, qualche mese prima, KD si era presentato con un dad-hat degli Arizona Diamondbacks (baseball), nero con logo scuro, nel pieno della sua palette.
Un altro rimando che torna spesso è quello con i Washington Commanders, la squadra NFL di cui è tifoso. Ma non tutti i cappelli di Durant portano marchi di altre squadre o brand, anzi. Da una dozzina d’anni Nike produce una linea di snapback personalizzati, che KD in un vecchio post su Facebook aveva detto di adorare. Quei cappelli sono apparsi in più occasioni nei media day (a Brooklyn e Phoenix), nelle registrazioni del proprio podcast e nelle interviste con Rich Kleiman, durante le quali KD indossa spesso un dad-hat nero con la scritta BOARDROOM in stampatello, identico a quello in vendita sul sito del network. La linea personale, comunque, non è mai spinta in modo aggressivo. Anzi, Durant la sembra usare come qualsiasi altro pezzo del guardaroba: un accessorio che completa l’outfit e, al massimo, ricorda al pubblico i progetti che coltiva fuori dal parquet.





















































