
L'estetica nel calcio di Under Armour è veramente forte Negli ultimi due anni abbiamo seguito il brand: ecco cosa abbiamo capito
La primissima volta in cui abbiamo visto da vicino il lavoro che Under Armour sta portando avanti nel mondo del calcio risale a febbraio 2024: ormai sono passati quasi due anni. Era un evento di presentazione della Shadow Elite 2.0, a Londra, nel cuore di Shoreditch, e l’ospite speciale di quella serata era Eddie Nketiah, allora in forza all’Arsenal (oggi al Crystal Palace). Un calciatore che avevamo preso in considerazione per il 14 stampato sulla sua schiena - un numero che, all’Arsenal, non può che rimandare al ricordo di Thierry Henry. Tornammo in Italia con una consapevolezza semplice: nel panorama, sempre più definito, del settore degli scarpini stava emergendo un nuovo player, pronto a inserirsi con sempre maggiore consistenza accanto ai giganti Nike e adidas. Ma soprattutto ci chiedevamo come si sarebbe posizionata Under Armour nei mesi a venire, sia rispetto ai nuovi competitor, sia rispetto a quelli storici (New Balance e Umbro, ad esempio) che, pur avendo tentato, non sono mai riusciti davvero a dire la loro in un settore dominato da adidas e Nike?
Poi arriva una tappa fondamentale: nell’aprile del 2025 intervistiamo Kevin Plank, fondatore di Under Armour, l’imprenditore più americano che si possa immaginare, alla guida del brand dalla storia più americana di tutte, nato dal più americano degli sport: il football americano. "Abbiamo costruito il nostro successo partendo dal football americano, ma come ben sapete oggi siamo arrivati persino al calcio. Magari penserete: "Chi l’avrebbe mai detto?", ma in realtà era tutto parte del masterplan di Under Armour. Ci definiamo una sport house, e per essere una delle migliori sport house del mondo non potevamo non puntare su quello che considero essere il miglior sport del mondo: il calcio. Oggi il roster calcistico di Under Armour vanta atleti di fama mondiale nel nostro roster, da Antonio Rüdiger, Achraf Hakimi e Fermín López, solo per menzionarne alcuni".
Ha poi proseguito, "Se penso ai primi passi che abbiamo mosso nel calcio, quasi non ci credo. Tra il 2006 e il 2007 eravamo in contatto solo con una manciata di club della Premier League, ma alla fine non si concretizzò nulla fino al 2012, anno in cui ufficializzammo la partnership con il Tottenham. Ricordo ancora il giorno in cui presi un volo da New York a Londra per incontrare Daniel Levy, che già all’epoca era presidente del club". Dunque, Kevin Plank, oltre a ricordarci gli obiettivi espansionistici del brand in nuovi sport, ci ha anche fatto luce su quanto, volente o nolente, il percorso di Under Armour nel calcio sia stato inevitabilmente legato all’estetica dei calciatori e alla loro immagine. Il primo nome che associamo al brand, infatti, non può che essere Gareth Bale, con i suoi iconici scaldacollo Under Armour indossati durante gli allenamenti con gli Spurs; poi la sponsorizzazione con il Southampton, con protagonisti Virgil van Dijk e Manolo Gabbiadini.
L'estetica di Under Armour nel calcio
L’estetica sempre più innovativa e aggiornata di Under Armour non può che passare, soprattutto, attraverso gli scarpini. Il focus del brand, infatti, si è spostato dalle sponsorizzazioni con i club di calcio – l’unico club ancora oggi sponsorizzato è il Sydney FC, con cui il marchio collabora addirittura dal 2019 – alle sponsorizzazioni dirette con i calciatori. Ma tornando agli scarpini, è proprio su di loro che Under Armour cerca di costruire parte della propria rilevanza e reputazione a livello mondiale. Il lavoro di Gabriel Bellota, Product Line Manager Footwear del brand, è finora ottimo: ampia varietà di colorazioni, modelli e piatti suola, considerando anche il fatto che Under Armour sia un marchio relativamente nuovo nel calcio e dunque non disponga di un archivio storico vero e proprio. Ed è proprio qui che trovano spazio le collaborazioni.
I co-branding parlano chiaro e riflettono le intenzioni di posizionamento di Under Armour: diventare un brand cool, fidandosi ciecamente della propria estetica – un’estetica fatta di capi ultra slim, che però non rinnega il proprio passato. Il marchio è infatti nato dall’invenzione numero uno di Kevin Plank, ovvero la maglia termica, che debuttò nel football americano. Tra i non molti co-branding realizzati dal brand, vale la pena menzionare la collaborazione con Mansory, l’azienda tedesca specializzata nell’elaborazione di autovetture ad alte prestazioni. Una partnership celebrata con un video commercial con protagonisti Antonio Rüdiger e Achraf Hakimi che, nonostante la qualità da kolossal, è passato quasi inosservato: una produzione imponente, su cui nessun altro brand sembra investire così tanto oggi, e che inevitabilmente richiama alla mente le grandi produzioni dei video commercial di Nike o Pepsi – pur con un concept e un mood decisamente più in stile Under Armour.
Come per ogni brand, anche per Under Armour la vera notorietà si costruisce grazie ai calciatori che lo rappresentano, figure che, a volte più e a volte meno, diventano veri e propri idoli ispirazionali. Il marchio americano può contare su un roster di altissimo livello, che include giocatori come Antonio Rüdiger, Achraf Hakimi, Ibrahima Konaté, Ferran Torres, Fermín López, Pedro Porro, Federico Baschirotto (hanno raccolto l'eredità dei primi ambassador Memphis Depay e Alexander Arnold) e persino Mikel Arteta – uno dei pochi allenatori a disporre di un contratto di sponsorizzazione tecnica. A lui si affiancano altri grandi nomi come Julian Nagelsmann (Nike), Jürgen Klopp (adidas) e Pep Guardiola (PUMA), una scelta che testimonia le grandi ambizioni di Under Armour, ormai al livello dei brand più affermati del settore.





















































