
L’ombra di Donald Trump sulla FIFA World Cup 2026 Col benestare del partner-amico, "Johnny" Infantino
Dopo una Coppa del Mondo in Russia (2018) e una invernale in Qatar (2022), e con all’orizzonte un’edizione espansa e itinerante su tre continenti (2030) e quindi un altro viaggio nel Golfo Persico (Arabia Saudita 2034), non era affatto semplice riuscire a legittimare anche per il 2026 l’etichetta di Mondiale controverso. La FIFA, del resto, ci ha costretto nell’ultimo decennio a ricalibrare ogni standard in tal senso, e la prossima rassegna in Stati Uniti, Messico e Canada sembrava apparentemente la più normale di questo particolare momento storico. Poi però Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, lo scenario geopolitico - regionale e globale - è cambiato drasticamente, e anche la prossima edizione della FIFA World Cup è sprofondata in un abisso di controversie, perplessità e critiche.
Non potrebbe essere altrimenti, dopo le ripetute visite del leader della federcalcio globale Gianni Infantino all’Oval Office e le discutibili affermazioni emerse in quelle occasioni, nonché dopo che il presidente americano ha suggerito la possibile presenza di Vladimir Putin negli States per assistere all’evento. Ma ancora prima, dopo le politiche dell'amministrazione Trump in materia di immigrazione e dazi, che tra gli altri riguardano da vicino i due Paesi co-host del torneo, Messico e Canada.
Non c’è solo questo, però. Ci sono anche le tante criticità emerse dal Mondiale per Club dello scorso luglio, disputato proprio negli Stati Uniti e indicato dal primo giorno come test generale pre-2026; un mese di calcio che ha fatto emergere parecchie incognite - non ultime e non trascurabili le problematiche legate al clima - e poche certezze, eccezion fatta per l’onnipresenza di Trump, gradita il giusto dal pubblico internazionale. Eppure, stando alle promesse degli stessi presidenti USA e FIFA, si tratta di «un evento che può risollevare l’umore globale», per i quale «non vediamo di accogliere i tifosi».
La bromance di Donald & Gianni
«Di solito lo può toccare solo il presidente della FIFA, la squadra che vince e il presidente della nazione vincitrice», ha detto Gianni Infantino lo scorso 23 agosto, mettendo il trofeo della Coppa del Mondo nelle mani del leader repubblicano. «Ma visto che lei è un vincitore, lo può toccare». «Posso tenerlo?» - la risposta di Trump, che per l’occasione indossava un cappello, non nuovo, con la scritta Trump Was Right About Everything. «Starebbe bene in quella parete». Il siparietto ha avuto luogo durante una delle tante visite del numero uno del calcio a Washington, e in una manciata di minuti è rimbalzata in ogni angolo del mondo.
Nell’agosto 2018 tra quelle stesse mura Infantino aveva consegnato a Trump, allora nel mezzo del suo primo mandato, una maglia personalizzata numero 45 (riferimento alla sua presidenza) e un kit da arbitro, «così può espellere qualcuno». Un ottimo assist per sventolarlo davanti ai giornalisti presenti - migranti a portata di mano, d’altronde, non ce n’erano - con il solito tono tra lo scherzoso, l’intimidatorio e l’inappropriato. Sullo sfondo, quel giorno, c’era la candidatura United 2026 (USA-Messico-Canada) e, soprattutto, il pacchetto di government guarantees richiesto dalla FIFA per il via libera. Ingresso non discriminatorio per atleti, ufficiali e tifosi, impegni su sicurezza, ordine pubblico e diritti umani, procedure agevolate per visti e permessi di lavoro, e via dicendo. Garanzie politiche messe nero su bianco da Washington tra il 2017 e il voto del FIFA Congress nel giugno 2018.
Con l’arrivo del Mondiale per Club 2025 e l’avvicinarsi dell’omologo per nazionali, poi, la frequentazione tra Infantino e Trump si è intensificata. E con essa la determinazione del dirigente svizzero, sempre più evidente, di affermarsi come partner e amico dell’inquilino della Casa Bianca, nonché come attore politico - senza alcuna legittimazione democratica - sulla scena internazionale. Negli ultimi mesi la FIFA ha annunciato l’apertura di un ufficio nella Trump Tower di New York, ha visitato Washington otto volte (di cui cinque nello Studio Ovale), ha condiviso informazioni con una task force creata da agenzie federali statunitensi, ha messo Ivanka Trump sul palco del sorteggio del Mondiale per Club 2025 e ufficializzato il trasloco di quello per i gironi 2026 dal Las Vegas Sphere al Kennedy Center di Washington D.C.
Dal punto di vista personale, poi, Infantino ha rilanciato alcuni messaggi del presidente americano sui propri canali, ha partecipato alla cerimonia per il suo ritorno alla Casa Bianca, lo ha ringraziato «per tutto quello che fa per lo sviluppo del calcio negli Stati Uniti», e lo ha invitato pubblicamente ad assistere alla finale della prossima Coppa del Mondo, con «fila 1, posto 1 riservato». Come se fosse necessario un invito per portare Trump al centro della scena. «Sarà impossibile non notarlo l’estate prossima», ha scritto Alexander Abnos su The Guardian, «Trump si assicurerà di essere al centro dell'attenzione, anche in luoghi in cui non ha alcun interesse o dove il suo coinvolgimento potrebbe essere visto come inappropriato: una dinamica che gli americani conoscono bene ormai, a oltre un decennio dall'ascesa di Trump».
E a proposito di inviti non necessari, nell’ultima visita di Infantino, due settimane fa, a un certo punto Trump ha tirato fuori il classico asso mediatico dalla manica. Mostrando alle telecamere una sua foto insieme a Vladimir Putin, e parlando della volontà del presidente russo di assistere alle partite del Mondiale l’estate prossima. L'ennesimo siparietto inquietante che ci ha ricordato quanto la vetrina calcistica verrà piegata alla sua regia personalistica e politica.
Special guest?
Anche l’immagine appena inviata da Putin, con i due presidenti uno a fianco dell’altro nel recente summit in Alaska, ha fatto in pochi minuti, inevitabilmente, il giro del mondo su web e social media. Ma quanto c’è di serio e concreto in ciò? Sul piano giuridico, dal febbraio 2022 (invasione dell’Ucraina) Putin è designato nella lista SDN dell’OFAC, una misura che blocca beni e transazioni con U.S. persons: non un divieto automatico di ingresso, ma un ostacolo per la concessione del visto e di fronte all’opinione pubblica. Al di fuori dei confini americani, poi, da marzo 2023 su Putin pende un mandato d’arresto ICC (Corte penale internazionale) per crimini di guerra e deportazione illegale di minori; e se per gli Stati Uniti non si tratta di un atto vincolante, non essendo parte dello Statuto di Roma, per Canada e Messico lo è.
Il contesto calcistico, poi, non sembra sostenere l’ipotesi. FIFA e UEFA hanno sospeso da oltre tre anni, fino a nuovo avviso, tutti i club e le nazionali russe dai propri tornei, incluse le qualificazioni verso il 2026. Come si potrebbe legittimare davanti all’audience globale la presenza del leader del Cremlino e la contemporanea esclusione di atleti che di certo non hanno le stesse responsabilità di Putin - ammesso che ne abbiano - per quanto sta accadendo in Ucraina? Va detto che il mancato ban di Israele dalle stesse competizioni ci offre un’evidenza già piuttosto nitida dei double standard, ma la presenza di Putin sugli spalti di New York e Miami sarebbe davvero difficile da far digerire al pubblico americano ed europeo.
Al di là della fattibilità dell’invito, resta però il punto politico. Cioè l’allusione di Trump alla possibile presenza di Putin, pochi giorni dopo il vertice bilaterale di Anchorage: una conferma dell'utilizzo come strumento diplomatico del maxi-evento calcistico in arrivo. Una mossa che sposta l’asse del discorso pubblico dal come si organizza il torneo al chi può varcare i confini del torneo, forzando la FIFA a muoversi nel territorio, scivoloso, tra neutralità sportiva da tempo abbandonata e geopolitica internazionale.
Controversie e pressioni
Nel 2018, come anticipato, per vincere l’assegnazione furono messe sul tavolo garanzie e standard su ingressi e politiche anti-discriminatorie. Oggi, però, a chiedere il rispetto di quelle stesse promesse non è più la FIFA - che anzi pare aver dimenticato tutto in nome del legame tra Infantino e Trump - bensì ONG e osservatori dei diritti umani; ad esempio Amnesty, Human Rights Watch e Sport&Rights Alliance, che a un anno dal via domandano un Human Rights Framework pubblico e obbligatorio per il 2026, in contrasto a politiche migratorie e di ordine pubblico sempre più restrittive negli States. Con il timore fondato di vedere controlli selettivi, visti negati e ostacoli di ogni genere per media, attivisti e visitatori LGBTQ+.
In parallelo, le relazioni con i co-host si sono fatte ruvide negli ultimi mesi. Trump ha alzato i dazi sui vicini con toni da trade war, ha fatto riemergere la narrativa del Canada come 51esimo stato e ha ventilato operazioni militari e ingerenze politiche nel territorio messicano per contrastare i cartelli del narcotraffico.
Poi ci sono le problematiche ereditate da Qatar 2022, che riaffiorano sul terreno pratico. La prova generale del 2025 ha offerto immagini di ondate di calore e stop imprevisti per condizioni meteorologiche estreme, e alcuni studi accademici (Queen’s University Belfast) parlano di dieci sedi su sedici ad altissimo rischio di heat stress nell’estate 2026. La posizione dei calciatori, esposta in una lettera aperta della FIFPRO, è chiara: prevedere i cooling break quando il termometro scollina quota 28 gradi, e rinviare ogni sfida oltre la soglia limite di 32 gradi.
Poi c’è il capitolo lavoro, pure questo ereditato da Doha e attuale anche per le prossime edizioni della World Cup. A marzo l’unione sindacale BWI ha accusato la federcalcio di aver negato l’accesso all’Estadio Azteca (Città del Messico) per un’ispezione indipendente, e sono serviti mesi di pressioni per un sopralluogo, il 9 luglio. Un primo passo verso la trasparenza, ma anche un preoccupante segnale se pensiamo ai quattro mesi trascorsi tra il primo tentativo di accesso e l’effettiva apertura del cantiere.
A partire dal 2024, infine, Saudi Aramco è diventata Major Worldwide Partner di FIFA, fino al 2027. Quindi dentro l’edizione 2026 e lungo la strada verso il 2034, proprio in Arabia Saudita. È una scelta che ribadisce quanto la neutralità dichiarata dai principi FIFA sia sempre di più, in realtà, una politica di alleanze consapevoli, e di strette di mano con chi calpesta quotidianamente i valori fondanti dello sport: inclusione, accoglienza, anti-discriminazione, rispetto dei diritti umani, civili e dei lavoratori. Ma al netto di tutto ciò, siete pronti a farvi risollevare l’umore da Infantino e Trump?



















































