
Sebastian Giovinco in Enfant Riches Deprimes è un plot twist enorme
Forse i calciatori hanno smesso di vestirsi con i soliti brand
12 Giugno 2025
Il calcio è cambiato profondamente in numerosi aspetti nell’ultimo decennio. Tra questi, anche le destinazioni scelte dai calciatori hanno subito una notevole trasformazione. Prima la Cina, poi la breve parentesi di Alessandro Del Piero in India e Australia, successivamente gli Stati Uniti, con una MLS sempre più spettacolare e un movimento calcistico in forte crescita, anche in vista del Mondiale per Club nell’estate del 2025 e della Coppa del Mondo del 2026. Infine, l’esodo di innumerevoli superstar verso l’Arabia Saudita. Tutti questi cambiamenti hanno inevitabilmente influenzato anche la vita personale dei calciatori: nuovi stimoli, nuove influenze, e più semplicemente nuovi contesti sociali. È normale che, trasferendosi da Napoli a Toronto – come nel caso, non casuale, di Lorenzo Insigne – si facciano nuove esperienze, si entri in contatto con culture diverse, si esplorino altri circoli sociali, si viva un nuovo sistema delle celebrità e si adottino stili differenti nel vestire. D’altronde, chi avrebbe mai immaginato di vedere l’inventore del tiraggir in full look OVO, il brand di proprietà di Drake?
Anche il modo di vestire dei calciatori è cambiato: si sono inevitabilmente aperti a nuove tendenze e influenze d’oltreoceano. In particolare, parliamo di quei giocatori europei che hanno scelto di trasferirsi in destinazioni lontane da casa. Si è affievolita – o in alcuni casi scomparsa – l’immagine del calciatore alla Mauro Icardi: i full look Givenchy, McQueen, Dsquared2 e Philipp Plein sembrano oggi un ricordo lontano, appartenente ormai solo a una minoranza. È venuta meno anche quell’omologazione estetica che per anni ha caratterizzato l’aspetto dei calciatori. Una fotografia che ritrae Sebastian Giovinco indossare una t-shirt di Enfant Riches Déprimés – brand luxury avant-garde fondato da Alexander Levy – è emblematica di questo cambiamento. Un marchio estremamente di nicchia che sorprende veder indossato da un calciatore. Sebbene ERD abbia negli anni aperto la propria distribuzione a multimarca come Selfridges e Maxfield, resta comunque un brand di ricerca. Il caso Giovinco, dunque, è solo la punta dell’iceberg: molti calciatori hanno abbandonato i soliti brand in favore di altri più ricercati, meno da calciatore, lontani da capi iper logati o dalle solite sneakers.
La scomparsa della logomania e la diffusione di nuovi trend anche tra i calciatori
Tutto ciò è frutto della diffusione di nuovi trend. La logomania non è sparita solo tra gli appassionati di moda, ma anche tra i calciatori, che oggi mostrano una maggiore sensibilità e raffinatezza stilistica. Questo cambiamento è dovuto in gran parte anche alla trasformazione delle loro abitudini: nel tempo libero, molti partecipano con frequenza crescente a fashion week, eventi di gala o appuntamenti nazionalpopolari.
Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo di un gusto completamente diverso rispetto a quello che dominava tra il 2010 e il 2020. Restando in Italia e oltrepassando il caso Giovinco, due esempi interessanti – seppur diametralmente opposti – sono Edoardo Bove e Cyril Ngonge. Il primo è un grande estimatore dei brand scandinavi, da Our Legacy a Sunflower, mentre il secondo sembra il primo vero fan italiano di Bottega Veneta e Prada: ha costruito un’estetica tutta sua. E non possiamo dimenticare la riscoperta dell’archivio vintage di Oakley, amatissimo da calciatori come Jules Koundé e Raphinha. Oggi, i giocatori sembrano davvero aver sviluppato una consapevolezza autentica su cosa significhi moda, specialmente nella costruzione del personal branding.
Di recente abbiamo intervistato Markus Solbakken, calciatore neo-promosso con il Pisa, che – proprio come Bove – ha scoperto il fascino dei brand scandinavi, diventando a tutti gli effetti uno scandi boy: «Il mio marchio preferito è probabilmente Holzweiler, un brand norvegese, insieme ad Acne Studios. O anche Samsøe Samsøe, che è sempre scandinavo», ci ha raccontato. È affascinante immaginare i calciatori scoprire l’estetica scandinava – in perfetta antitesi con la logomania che per anni ha dominato il loro guardaroba – e reinterpretarla come una sorta di uniforme fatta di palette sobrie e silhouette contenute, per comunicare un’immagine low profile, lontana dai riflettori.