I calciatori sono una risorsa per i direttori creativi Chiamatela ancora una volta Calcio Fashion Week

Rassegnatevi. Se siete tra coloro che ancora credono che i calciatori debbano interessarsi solo ed esclusivamente al calcio, che qualsiasi altra passione toglie tempo ed energie all’unica cosa che conta davvero, il vostro tempo è finito. Le ultime edizioni della Milano Fashion Week e della Paris Fashion Week hanno confermato un trend: i calciatori non sono solo appassionati di moda, vogliono (e possono) esserne protagonisti. Rafa Leao che sfila per PDF a Milano e Mario Balotelli che conquista Parigi nell'ultimo fashion show di KidSuper sono gli ultimi esempi di come calcio e fashion siano diventati due mondi connessi l’uno con l’altro. Lo abbiamo visto in campo ovviamente, con brand sempre più concentrati sull’idea di creare una maglia da gioco che possa trasformarsi in un capo per tutte le occasioni. Lo abbiamo visto anche fuori dal campo, con le linee dei formal wear disegnate per restituire un tocco di stile ed eleganza nei momenti ufficiali. 

I calciatori in passerella 

Quello a cui stiamo assistendo ora è la fase successiva, il passaggio in cui è il calcio a fare invasione di campo. E non solo nella misura in cui le connessioni con i vari brand permettono di avere un posto in prima fila alle sfilate, come nel caso di Joules Koundé presente agli show di Dior, Willy Chavarria e JACQUEMUS solo per citare ancora l’ultima edizione della Paris Fashion Week. C’è proprio la volontà di recitare un ruolo da protagonista, di uscire dall’immagine che è stata cucita addosso per dare sfogo alla parte più eclettica della propria personalità. I calciatori non hanno più voglia di essere solo dei calciatori. Non solo nella misura in cui li immaginiamo casa-centro di allenamento. C’è proprio la voglia di andare oltre anche la percezione del personaggio famoso che però senza un pallone tra i piedi non ha nulla da raccontare. In aggiunta, non è nemmeno un discorso di emancipazione. C’è un’intera generazione di calciatori che non bada troppo alle possibili ripercussioni delle proprie attività extra-campo, lo fanno perché è una conseguenza naturale del proprio carattere e non pensano minimamente che possa influire sulle proprie prestazioni in campo.

Non è nemmeno solo una questione di volontà. È anche una necessità. Qualsiasi sportivo professionista in questo momento storico deve sapersi creare un’immagine che vada oltre lo sport così da poter diventare un’attrazione per i brand. Poi certo, è possibile che nel caso di Leao e Balotelli (come anche in quello di Joe Willock che ha sfilato per 424 e Miles Lewis-Skelly che lo ha fatto per Wales Bonner) sfilare in passerella abbia rappresentato più il divertimento di una sera che un passaggio mediatico per sviluppare una carriera parallela al campo. Il punto è un altro: il calcio non può più essere considerato solo uno sport, con tutte le false convinzioni che lo circondano. È l’insieme di tanti aspetti commerciali e il fashion è uno di questi, per cui per i calciatori è naturale esserne attratti.

I calciatori sono una risorsa per i direttori creativi, non viceversa

C’è anche – e soprattutto – un altro lato della medaglia che merita di essere esplorato: un punto di vista che rappresenta forse la vera novità da mettere a fuoco, ovvero il fatto che i calciatori stanno piano piano diventando una risorsa – per non dire una speranza – per i direttori creativi.

Intendiamoci: per un direttore creativo, il momento della sfilata diventa davvero utile solo se sfruttato a 360 gradi. Si tratta di un momento breve, della durata di circa dieci minuti, in cui si deve cercare di convincere il pubblico con tutti i mezzi a disposizione. Esprimere la gioia dell’inclusione, o semplicemente quella di creare scalpore o ilarità, è una delle strade percorribili. Includere i calciatori – siano essi vecchie glorie o talenti contemporanei – rientra in quella categoria; oltre a risultare una chance per avvicinare vecchie e nuove generazioni alla moda, attraverso l’inclusione dei propri idoli.

Ma è anche vero che, far sfilare i calciatori è anche un modo per restituire loro qualcosa che, da atleti, non hanno mai davvero avuto. Pensiamo alle critiche rivolte a Balotelli per aver indossato un Carrera, un crocifisso o qualche accessorio ritenuto troppo sfarzoso ai tempi dell’Inter. Beh, riconquistare la libertà di espressione su una passerella, grazie all’intervento di un direttore creativo che crede in te e nella voglia di esprimersi dei calciatori, è un aspetto purissimo nella sua essenza e da non sottovalutare.