
La saga dei fratelli Inzaghi nel calcio italiano
Che Serie A sarebbe senza Simone e Filippo?
22 Maggio 2025
Nella prossima stagione di Serie A ci saranno ancora i fratelli Inzaghi, entrambi. Filippo ha appena conquistato la promozione con il Pisa, Simone è in volata su più fronti con l’Inter, e tra qualche mese i due si troveranno - all’Arena Garibaldi o a San Siro - da allenatori avversari. Non sarà una prima volta, in passato si sono già sfidati in quattro occasioni: la prima nel 2018 e la più recente nella scorsa stagione, con tre vittorie per Simone e un pareggio. Forse è per questa ricorrenza che il caso dei piacentini, fratelli e allenatori a un livello così alto, non ci sorprende più; o forse, semplicemente, perché sono trent’anni (o quasi) che almeno uno dei due è “attivo” in Serie A, tra campo e panchina. Eppure si tratta di una rarità assoluta, nel panorama italiano e non solo.
Eccezionalità
I precedenti sono pochi e abbastanza lontani. In Italia vengono in mente i gemelli Filippini (Antonio ed Emanuele), che però non si sono mai avvicinati alla massima categoria; oppure Fabio e Paolo Cannavaro, che hanno allenato spalla a spalla, o in contesti molto diversi. L’ex Pallone D’Oro ha guidato il Guangzhou in Cina, l’Al-Nassr in Arabia Saudita, Benevento in Serie B e Udinese in Serie A; mentre il fratello Paolo è stato il suo vice in un paio di occasioni, prima di intraprendere un percorso, durato pochi mesi, al timone della Pro Vercelli, in Serie C.
Diminuendo lo zoom, all’estero si possono citare i fratelli de Boer, Frank (passato anche dall’Inter) e Ronald, che hanno condiviso qualche annata nello staff dell’Ajax, in Olanda. Oppure gli inglesi Gary e Phil Neville, con il primo che ha avuto una breve esperienza in Spagna, al Valencia, e il secondo che da quattro anni si è trasferito in MLS (Stati Uniti), all’Inter Miami prima e ai Portland Timbers poi. Infine ci sono gli ivoriani Kolo e Yaya Touré: l’ex difensore è stato il vice del Leicester e oggi ricopre lo stesso ruolo al Manchester City, dopo aver allenato il Wigan Athletic per una stagione in seconda categoria; l’ex centrocampista invece ha girato parecchio, passando dal calcio ucraino, russo e belga, e accasandosi infine nello staff della Nazionale saudita. Sono tutti nomi noti, e contesti di buon se non ottimo livello, ma nessuna coppia ha raggiunto - figurarsi simultaneamente - i palcoscenici, la visibilità internazionale e le gratificazioni professionali degli Inzaghi.
Percorsi divergenti
Da calciatori, Filippo e Simone Inzaghi hanno condiviso una lunga presenza in Serie A, ma senza intrecciarsi mai davvero. Il primo è stato un bomber iconico con Juventus e Milan, un campione del Mondo e d’Europa; il secondo un attaccante intelligente, forse sottovalutato, che ha vissuto i suoi anni migliori con la maglia della Lazio. Da allenatori, invece, le traiettorie si sono divise, e dal punto di vista dello “status” sembrano essersi rovesciate.
Filippo ha esordito da tecnico in Serie A nel 2014, al Milan, dopo un solo anno con la Primavera e due stagioni prima rispetto al fratello. La dirigenza rossonera lo scelse per un’idea di continuità, più che per un vero progetto tecnico, e il decimo posto con cui si chiuse quell’anno lasciò la sensazione che “Pippo” avesse bruciato qualche tappa. La classica grande occasione arrivata troppo presto. Negli anni successivi ha costruito la propria identità nelle leghe inferiori: ha portato il Venezia dalla C alla B, vissuto due annate positive a Brescia e Reggio Calabria, e poi le due promozioni a Benevento e Pisa. Insomma “Pippo” ha vinto, convinto, rilanciato piazze in difficoltà, ma in Serie A non ha ancora vissuto la sua consacrazione. E ora la sua missione è proprio questa: mettersi alle spalle le esperienze con Milan (decimo), Benevento (retrocesso), Bologna e Salerno (esonerato) e con esse la scomoda etichetta di “allenatore di categoria”.
Simone invece è partito più tardi, ma ha seguito un percorso opposto. Nel 2016 allenava la Primavera della Lazio quando, dopo il clamoroso dietrofront di Bielsa, si ritrovò alla guida della prima squadra. A posteriori, sarà la sliding door decisiva della sua carriera. Nata come soluzione di transizione, la sua presenza si è presto trasformata in colonna portante del progetto biancoceleste, nell’arco di cinque anni in cui la Lazio è tornata a vincere trofei e partecipare con continuità alla Champions League. Una volta raccolta l’eredità di Antonio Conte all’Inter, quindi, ha compiuto il definitivo salto di qualità, affermandosi tra i migliori tecnici d’Europa, con due finali all’attivo nella massima competizione continentale e una serie di successi nazionali.
Oltre al percorso che li ha portati fin qui, ai risultati e alle categorie, le differenze tra i due si riflettono anche nella filosofia di gioco e nello stile comunicativo. In questo caso, su binari più simili a quelli degli anni in cui scendevano in campo.
Stili diversi
Il 3-5-2 di Simone è un sistema apparentemente rigido, per la costanza con cui il tecnico l’ha adottato nelle ultime stagioni; ma in realtà è una struttura incredibilmente fluida, per i principi di gioco su cui è costruita e soprattutto per quanto riguarda le posizioni in campo degli interpreti. Oggi tutta Europa riconosce la sua mano e i suoi meriti nella crescita esponenziale dei nerazzurri nelle ultime stagioni. “L’Inter è una squadra costruita benissimo, con una struttura chiara e difficile da scardinare”, aveva detto Pep Guardiola nel 2023, prima della finale di Istanbul. E settimana scorsa, all’indomani dell’impresa contro il Barcellona, il tecnico catalano ha di nuovo riempito di elogi il collega: “Ha fatto un lavoro straordinario, creato una squadra incredibile in tante fasi di gioco: difendere, transizioni, fisicità, organizzazione.”
Simone è apprezzato per la capacità di forgiare una forte identità tecnica e tattica, per la cura dei dettagli e la capacità di preparare partite, ma anche per lo sviluppo interno del talento e per avere raddrizzato - in alcuni casi resuscitato - le carriere di tanti giocatori passati tra le sue mani. Anche per questi aspetti è una figura amata storicamente dalle proprietà, dagli spogliatoi e dai tifosi.
Filippo lavora con idee diverse. Non ha un vero e proprio modulo o sistema di riferimento, cambia in base al materiale umano a disposizione e al contesto, ma ha garantito a quasi tutte le sue squadre una granitica fase difensiva. A Benevento si impose con ampio margine in Serie B, subendo appena 24 gol, record per la categoria; col Venezia ne concesse 29, anche lì come miglior difesa del girone; e con il Pisa ha appena chiuso la stagione da seconda retroguardia più solida.
L’ispirazione tattica di “Pippo” è Xabi Alonso, con “le sue squadre corte e compatte, che si muovono bene tutte insieme e con equilibrio tra i reparti”. Dal punto di vista caratteriale, invece, guarda a Jurgen Klopp, “per la mentalità che sa trasmettere: il coraggio, l’intensità, la fame, la forza di non mollare mai”. E inevitabilmente si aggiunge una leggenda italiana che lo ha allenato per tanti anni: Carlo Ancelotti, “per la gestione dello spogliatoio, il modo in cui sa parlare con i giocatori e valorizzarli tutti senza creare gelosie.”
In attesa di conoscere le date esatte in cui il calendario della Serie A metterà di fronte Inter e Pisa, ad oggi sappiamo che la stagione 2025/26 ci offrirà un’altra volta la sfida tra Simone e Filippo Inzaghi. Fratello contro fratello. Se non ci sembra un’assurdità, è perché da tre decenni li vediamo ogni fine settimana a bordo campo (non sempre dentro l’area tecnica), in conferenza stampa, negli studi televisivi, sulle prime pagine dei giornali. Che Serie A sarebbe, insomma, senza gli Inzaghi?