
Non siete pronti per l'Udinese made in USA
La famiglia Pozzo sta perfezionando la cessione del club al fondo statunitense Guggenheim Partners
17 Giugno 2025
Ci sono voluti 39 anni, ma il momento di cambiare proprietà e omologarsi all’internazionalizzazione della Serie A è arrivato anche per l’Udinese. Secondo quanto riportato nelle ultime settimane, le redini del club friulano stanno per passare infatti dalla famiglia Pozzo al fondo statunitense Guggenheim Partners, il cui CEO Mark Walter è noto nel settore sportivo per le partecipazioni nel Chelsea e in due franchigie di Los Angeles. Il puzzle è formalmente in via di definizione, con il closing inizialmente fissato il 6 giugno e poi rimandato; in ogni caso l’affare si dovrebbe concretizzare entro l’avvio della stagione sportiva 2025/26.
Con l’atterraggio di Guggenheim Partners, un’altra realtà del campionato italiano si proietta dunque nella sfera della finanza mondiale; e anche stavolta, la nona, su 20 squadre di Serie A, con dollari in arrivo dagli Stati Uniti. Contestualmente, l’uscita di scena dei Pozzo certifica la fine di un’epoca, quella delle proprietà familiari, e tronca un pezzo di storia del nostro calcio, iniziato da Giampaolo Pozzo una vita fa, nel 1986, e proseguito con il figlio Gino.
Passaggio di consegne
Guggenheim Partners è un gruppo finanziario che ha sede a New York e gestisce 350 miliardi di dollari circa di asset, con incursioni sportive in Premier League con il Chelsea, nel basket NBA con i Los Angeles Lakers e nel baseball MLB con i Los Angeles Dodgers). Con l’Udinese, una realtà appetibile e di cui si vocifera da anni la possibile cessione, si è presentata a Mark Walter e soci l’occasione di unirsi alla traversata oceanica e sbarcare nel calcio italiano; con il lusso di partire comodamente in Serie A, e quindi senza dover passare dalle corse alla promozione viste di recente, ad esempio, nelle avventure della famiglia Hartono a Como oppure del City Football Group a Palermo.
Il club friulano è il secondo del Paese ad aver puntato su uno stadio di proprietà ovvero il Bluenergy Stadium (ex Dacia Arena) ricostruito nel 2016, si presenta con conti in ordine grazie a 120 milioni di fatturato ed Ebitda positivo a 50 milioni nel bilancio 2024, una rosa valutata complessivamente quasi 150 milioni e alle spalle una serie di comodi piazzamenti a metà classifica. Anzi, molto di più: una militanza ininterrotta in Serie A dal 1994 ad oggi, pur senza il bacino d’utenza e i ricavi dall’extra-campo di tante rivali.
Stando a quanto riportato da Il Sole 24 Ore, la firma preliminare dei documenti è stata scambiata tra le due parti lo scorso 15 aprile, per una cifra complessiva compresa tra i 150 e i 190 milioni di euro. Per ora non è escluso però che i Pozzo mantengano una voce nei consigli d’amministrazione del club, un po’ come visto a Bergamo nel caso dell’Atalanta; cioè con la proprietà uscente che conserva una quota minoritaria e un ruolo più defilato, ma strategico, per garantire la continuità del progetto tecnico e l’armonia del passaggio di testimone.
Proprietà americane
L’Udinese sarà così il dodicesimo club della Serie A con una proprietà straniera. E come anticipato, a parte Bologna, Como e Genoa, gli altri portano tutti un vessillo a stelle e strisce: il Milan con Gerry Cardinale, e RedBird, l'Inter con Oaktree Capital Management, la Roma con il Friedkin Group, la Fiorentina con Rocco Commisso, l'Atalanta con Stephen Pagliuca, il Parma con Kyle Krause, il Pisa con Alexander Knaster e da quest’anno anche l’Hellas Verona con Presidio Investors. Completano lo spettro, ormai in minoranza, le otto che hanno conservato un legame con il territorio: Juventus, Napoli, Lazio, Torino, Cagliari, Sassuolo, Lecce e Cremonese.
Insomma, è cambiata parecchio la geografia della Serie A nell’ultimo decennio, tanto che nel 2025 non fa più notizia che strutture familiari come quella dei Pozzo, fino a qualche anno fa una consuetudine del nostro calcio, se non la regola, siano una rarità. Il punto non è la valuta della transazione, che sia l’euro o il dollaro, lo yuan (ricordate lo sbarco delle aziende cinesi?) o il riyal (arriveranno prima o dopo gli sceicchi?), ma la scalabilità sui mercati globali. Una questione di liquidità, ma non solo: anche di modelli di governance sempre più articolati, proprietà frammentate, multi-ownership e una generale evoluzione del settore che oggi esige competenze trasversali, capacità di attrarre investimenti internazionali e nuove rotte commerciali. Insomma, parlare la lingua del business più che del pallone.
In questo trend l’Udinese si inserisce come un caso peculiare, quello di una struttura già all’avanguardia in diverse aree, e non per niente studiata e replicata in Italia come all’estero. In primis, per i frutti e la gittata dello scouting, lo sviluppo interno del talento e le plusvalenze messe a segno sul mercato, che rappresentano il vero marchio di fabbrica del progetto negli ultimi decenni; ma anche per gli investimenti sulle strutture e per i rapporti satellitari con Watford, club inglese gestito dalla famiglia Pozzo dal 2012, e Granada, club inglese gestito dal 2009 al 2016, legati ai friulani da incessanti flussi di mercato. Queste, però, sono solo le tappe più recenti di un viaggio lungo, virtuoso e a tratti anche molto appassionante.
La fine di un’era
Tutto ebbe inizio il 28 luglio 1986, quando Giampaolo Pozzo rilevò l’Udinese da Lamberto Mazza, ultimo presidente dell’era-Zico. Fu l’inizio di un progetto che nei decenni successivi porterà un club di provincia sulle cartine europee, grazie alla trasformazione in laboratorio economico e sportivo attuata brillantemente dalla nuova proprietà. Non prima, però, di aver superato qualche difficoltà. Il club nell’estate del 1986 fu travolto infatti dallo scandalo Totonero-bis e spedito in Serie B; in seguito fu restituito alla prima categoria, ma con punti di penalizzazione che costeranno comunque la retrocessione, nonostante i grandi nomi come Graziani, Bertoni e Collovati arrivati insieme alla nuova proprietà. Nel ’90, una telefonata ambigua tra Pozzo e il presidente della Lazio Gianmarco Calleri valse al club altri punti di penalizzazione e al patron una manciata d’anni di inibizione, dopo i quali non assumerà più incarichi ufficiali, pur restando alla guida della società.
Uscendo da quel periodo prese forma l’Udinese per come la conosciamo oggi, arrivando a trenta stagioni consecutive in Serie A, una cifra che oltre ai bianconeri appartiene soltanto a Inter, Milan, Roma e Lazio. In questo arco di tempo il club si è fatto un nome dentro e fuori dai confini nazionali, ottenendo un terzo posto nel ‘98, la vittoria dell’Intertoto nel 2000 con Alberto Zaccheroni in panchina, otto qualificazioni alla Coppa UEFA, uno storico pass per la Champions League nel 2005 con Luciano Spalletti, poi sfiorata ancora nel 2011 e 2012 con Francesco Guidolin. A rendere unica la gestione Pozzo però, prima ancora che i risultati di campo, è senza dubbio il metodo con cui sono stati raggiunti. Udine si è affermata come centro d’eccellenza nello scouting internazionale già dagli anni ‘90: da Balbo a Bierhoff e Amoroso, passando per Giannichedda, Fiore, Sensini, Pizarro e Jorgensen; e andando avanti sulla timeline, una nuova infornata di talenti: Sanchez, Handanovic, Benatia, De Paul, Inler, Asamoah, Isla, Cuadrado, Zielinski, Meret. Tutte queste intuizioni hanno contribuito a realizzare ingenti profitti nei bilanci, creando quella situazione virtuosa che ha facilitato la cessione del club.
Le cifre raccontano la portata di questo ciclo: oltre 800 milioni di euro in plusvalenze, il 40% circa del fatturato complessivo, con la più remunerativa prodotta dalla cessione di Marcio Amoroso al Parma nel ‘99 per 37 milioni. Al centro della memoria collettiva, e per otto stagioni dell’attacco bianconero, è rimasto e rimarrà indelebilmente il ricordo di un giocatore che più di tutti ha contribuito alla crescita dell’Udinese in questo periodo: Antonio Di Natale, ovviamente. Simbolo e capitano per quasi un decennio, è tutt’oggi il miglior marcatore nella storia del club (227 gol) e il primatista di presenze (446 partite), dopo essere stato due volte capocannoniere della Serie A. Nessuno a Udinese ha dimenticato Totò e il suo aeroplanino: la giusta icona romantica e un po’ nostalgica per ricordare una storia di 39 anni che di sentimenti, in effetti, ne smuove parecchi.