
La sicurezza dei ciclisti passa anche dal tracking GPS Con il Mondiale 2025 la tutela dei corridori entrerà in una nuova fase
Archiviati Tour de France e Giro d’Italia, e con la Vuelta de España cominciata nel weekend da Torino, l’estate del ciclismo sta entrando nella sua volata finale, che porta dritta all’UCI Road World Championships 2025. Ovvero il Campionato Mondiale su strada, in programma dal 21 al 28 settembre e giunto alla 98esima edizione, che sarà diversa da tutte le precedenti. Per svariati motivi, ma prima di tutto la sede: si correrà a Kigali, Rwanda - il debutto assoluto del grande ciclismo sul suolo africano, ma anche un unicum nella storia sportiva dell’area subsahariana e in particolare per la Regione dei Grandi Laghi.
La curiosità, però, non è soltanto geografica. C’è una questione regolamentare, tecnologica e di tutela dei corridori che ha animato gli addetti ai lavori negli ultimi mesi, e che tornerà d'attualità proprio a ridosso del Mondiale: l'introduzione del sistema di GPS tracking, per la prima volta su larga scala proprio in occasione di Kigali 2025. L’UCI ha annunciato da tempo la decisione di rendere obbligatoria l'applicazione di questo piccolo dispositivo su tutte le bici e categorie: maschili e femminili, élite e junior. L’idea alla base di tutto ciò è che la completa tracciabilità dei movimenti sul percorso possa ottimizzare i soccorsi in caso di cadute: una delle risposte più concrete, finora almeno, alla crescente richiesta di tutela dei ciclisti.
Il contesto
La spinta è stata alimentata, purtroppo, da due recenti tragedie: la morte di Gino Mäder al Tour de Suisse 2023, e un anno più tardi quella della junior svizzera Muriel Furrer, durante i Mondiali di Zurigo 2024. Nel secondo caso, dopo dodici mesi di indagini la dinamica è tuttora avvolta dal mistero, così come la posizione e il momento esatto dell’incidente che ha portato la giovane svizzera al decesso. I tempi di individuazione e di soccorso dell’atleta hanno fatto emergere invece una serie di perplessità, più accese che mai, sul relativo utilizzo della tecnologia per prevenire episodi del genere nel mondo del ciclismo professionistico. "A posteriori", ha riconosciuto il direttore di corsa Olivier Senn, "un sistema GPS sarebbe stata una soluzione perfetta, con cui Furrer avrebbe potuto essere trovata e assistita più rapidamente".
Nonostante le premesse, però, come vedremo le prove dello strumento hanno creato diverse frizioni tra squadre e federazione. Non tanto sul principio di tracciare gli atleti, che risponde a una priorità condivisa da tutte le parti, quanto sulle modalità, sulle responsabilità e sulla gestione dei dati. E nel caso del Rwanda, sull’affidabilità nel contesto digitale, nonostante le rassicurazioni fornite dagli organizzatori.
GPS tracking system
Il GPS di sicurezza che l’UCI sta introducendo è un piccolo tracker da 63 grammi fornito da Swiss Timing e montato sul telaio delle bici. Il suo compito è rilevare in ogni istante dove si trova l’atleta e far scattare allarmi automatici in caso di anomalie, situazioni in cui potrebbe essere necessario un intervento immediato di soccorso. La posizione in tempo reale confluisce in una sala di controllo condivisa da direzione di corsa, servizi medici e commissari, con l’obiettivo di accorciare i tempi di individuazione e di intervento in caso di incidente.
Il sistema lavora su tre livelli: la rilevazione di coordinate e velocità, la trasmissione grazie ad un uplink continuo e l'analisi dei dati. È qui che intervengono le regole di allerta: se una bici resta immobile per 30 secondi, esce dalla traccia del percorso o registra variazioni anomale di velocità, in regia scatta il protocollo di verifica. Stando a quanto emerso dalle prove svolte finora, poi, la sala di controllo incrocia i dati GPS con immagini TV e meteo per decidere come muovere medici e mezzi. Dal punto di vista regolamentare, l’UCI chiarisce che si tratta di un uso strettamente safety, nulla a che fare, quindi, con performance e tattica, né con i broadcaster televisivi. È la tessera tecnologica che mancava, chiesta a gran voce negli ultimi ventiquattro mesi: un faro sempre acceso su ogni bici, pensato per non perdere minuti preziosi quando contano davvero.
Verso il Mondiale
Dopo essere stata teatro delle due tragiche scomparse di Mäder e Furrer, la Svizzera ha fatto da banco di prova per il GPS. Al Tour de Suisse 2025 gli organizzatori hanno scelto un test esteso, con tracker su tutte le bici e sul convoglio, e Safety Command Center dedicato. In pratica è stata la prima applicazione completa del modello, osservata con interesse da altri organizzatori e accolta dall’UCI come prezioso caso-studio in vista di Kigali.
Diverso l’approccio al Tour de Romandie Féminin di settimana scorsa, dove il test è stato UCI-driven, quindi dentro il perimetro SafeR, e ridotto a un’atleta per squadra, per affinare software e protocolli prima del Mondiale. La scelta ha innescato però uno scontro alla vigilia della corsa, con cinque team che non hanno designato la propria pilota e sono stati esclusi alla partenza, mentre l’UCI definiva la non-cooperazione deplorevole e ricordava che il dispositivo, appena 63 grammi di peso, sarebbe stato obbligatorio per tutti a Kigali. Le squadre hanno chiarito in un comunicato congiunto che la contestazione riguarda il processo adottato dalla federazione: la scelta di applicare il GPS su una sola bici, i tempi della richiesta, la governance dei dati (chi li gestisce, per quanto tempo e con quali garanzie?) e le responsabilità in caso di guasto. Sullo sfondo c’è Velon, società vicina ai team estromessi, che da anni sviluppa sistemi di live-data e on-bike camera, rendendo sensibile il tema “chi decide lo standard e controlla i flussi”.
Oltre il GPS
Il GPS non è la soluzione, è una soluzione. L’UCI lo ha inserito in un quadro più ampio, chiamato SafeR, che punta a ridurre le velocità di picco, semplificare le decisioni in corsa e accorciare i tempi di intervento. I numeri raccolti nella prima metà del 2025, su quasi 300 incidenti analizzati, dicono che la causa più frequente resta l’errore del corridore; seguono volate, pavé, discese e asfalto bagnato. Da qui alcune misure pratiche: la regola dei 3″ nelle volate, l’estensione della 3 km rule a 5 km, il Restart Protocol per neutralizzazioni e ripartenze, la gestione del convoglio con corridoi dedicati per limitare i sorpassi. Sul fronte mezzi, invece, dal 2026 arriveranno i nuovi manubri più larghi, cerchi con altezza massima e forcelle con larghezze interne limitate, mentre ad ottobre nel Tour of Guangxi si testerà un rapporto massimo per livellare le punte di velocità in contesti critici.
La sicurezza però non è solo cadute e veicoli, è anche salute e prevenzione. Nel femminile - ma non solo - sta crescendo l’attenzione sul tema RED-S (Relative Energy Deficiency in Sport), una condizione dovuta a energia cronicamente bassa che altera funzioni ormonali e metaboliche, aumenta il rischio di fratture da stress, amenorrea e irregolarità mestruali, calo della densità ossea, infezioni e calo di performance. Il CIO nel 2023 ha incentivato il ricorso al REDs CAT2, uno strumento che aiuta medici e staff a intercettare i casi sul nascere, definendo raccomandazioni ed eventuali stop per allenamento e gara.
Il tema è culturale, oltre che medico. Dopo il Tour de France Femmes 2025 il sindacato The Cyclists’ Alliance ha chiesto all’UCI screening annuali obbligatori per RED-S e test di densità ossea, denunciando che l’attuale sistema "non tutela abbastanza la salute" a fronte di pressioni su peso e prestazione. La federazione ha risposto annunciando insieme a World Athletics la creazione di un modulo e-learning sulla RED-S e un imminente confronto con gli esperti per aggiornare le pratiche mediche delle squadre. Kigali, insomma, sarà il primo grande test di un tassello tecnologico - il GPS - che fa parte di un puzzle ben più ampio. Fatto di protocolli di gara, tutela della salute e una serie di strumenti pensati per trasformare la sicurezza da reazione in prevenzione.





















































