
Come funziona l'antidoping nel ciclismo? Prelievi di sangue, test di urine e sfide logistiche
Dell’antidoping e delle agenzie che se ne occupano, come ITA (International Testing Agency) e WADA (World Anti-Doping Agency), sentiamo parlare soprattutto quando i casi più rumorosi di positività raggiungono le prime pagine dei giornali. Oppure quando scoppiano scandali, indagini, polemiche, o quando cambiano regole e modalità nel controllo degli atleti. Per il resto è un lavoro che viene svolto lontano dai riflettori dei grandi eventi, quasi nell’ombra, ma non per questo meno importante e interessante, anzi. A maggior ragione nel mondo del ciclismo, che da decenni combatte ad armi impari una difficilissima guerra, e in cui la logistica e le tempistiche delle gare rendono il compito più impegnativo che altrove. Si dice spesso che il doping è dieci anni avanti l’antidoping e purtroppo non è un’invenzione: così come in tanti sport chi attacca ha un vantaggio fisiologico, lo stesso vale in questo ambito, e in generale ovunque la giustizia, sportiva e non, insegua gli illeciti.
Abbiamo provato a farci un’idea di tutto ciò in occasione di Kigali 2025, il Mondiale di ciclismo del mese scorso in Rwanda. Un evento unico per mille motivi, che vi abbiamo raccontato da vicino e di cui oggi vi portiamo un ultimo, inedito angolo. Dopo aver dato voce ai tanti temi emersi - gli show di Pogacar, Evenepoel e Finn, l’atmosfera della prima volta in Africa, le tante controversie di contorno - stavolta abbiamo fatto un giro dietro le quinte, per capire come ha lavorato l’ITA sul posto, e in generale come si muove un’agenzia antidoping in grandi eventi del genere. Grazie alle testimonianze di chi ha coordinato le attività sul posto - Kevin Dessimoz e Leticia De Vega, rispettivamente Testing Operations Manager e Testing Coordinator dell’ITA Cycling Department - e al supporto di Marta Nawrocka, responsabile dell’area Communications & Media.
Logistica
Kevin Dessimoz e Leticia De Vega lavorano nel cluster in-competition dell’ITA, con un’esperienza pluriennale nell’area ciclismo. Il mese scorso a Kigali erano i due emissari dell’ITA, agenzia attiva in quasi 80 sport ma con un focus particolare sul ciclismo. "In Rwanda eravamo in totale dieci persone", spiega Dessimoz, "Leticia ed io, più sei DCO (doping control officers, professionisti formati per condurre i controlli) e due infermieri, che noi chiamiamo BCO (blood collection officers) e che erano lì soprattutto per aiutare nei prelievi del sangue dal braccio degli atleti. Siamo arrivati a Kigali due giorni prima dell’inizio dell’evento. I test prima dell’evento possono essere condotti sia direttamente da ITA, sia da altre organizzazioni nazionali antidoping o agenzie private di prelievo che raccolgono test fuori competizione direttamente a casa degli atleti - noi prendiamo completamente il controllo quando inizia l’evento."
Come funziona la logistica dei test, una volta sul posto? "La stazione di controllo antidoping era dentro il Radisson Hotel, nel Kigali Convention Center, proprio accanto al Media Center", risponde De Vega. "Ogni giorno c’erano due o tre DCO nell’area d’arrivo delle corse, mentre il resto del personale era assegnato ai test negli hotel dei corridori. Nell’area di controllo ci sono gli spazi e gli strumenti per i test: la sala per i prelievi, bagni con specchi e tutta l’attrezzatura necessario. Poi ci sono gli chaperon (volontari), le figure che devono notificare agli atleti e che lavorano per lo più alla linea del traguardo, mentre i DCO vanno anche negli hotel. Non appena l’atleta è notificato, lo chaperon di riferimento non può perderlo di vista neanche un momento, deve accompagnarlo alla stazione di controllo il prima possibile."
Svolti i test e prelevati i campioni, per la macchina organizzativa il lavoro è appena iniziato. "Dobbiamo assicurarci che i campioni - urine o sangue - arrivino in sicurezza e il prima possibile a un laboratorio accreditato WADA. Il punto è che in Africa ce ne sono pochi, e non tutti accettano ogni campione o sono autorizzati a svolgere ogni analisi. Alcuni campioni di sangue li abbiamo dovuti spedire a Nairobi, in Kenya. E la finestra temporale è molto stretta: se abbiamo problemi con la spedizione rischiamo di perdere la validazione di quei campioni. È una bella sfida, il mese scorso è capitato un paio di volte che i nostri ufficiali abbiano dovuto prendere personalmente un volo per Doha, Qatar, e consegnare a mano i campioni, in piena notte."
Al di là di trasferte-lampo del genere, le giornate del personale ITA a Kigali sono state comunque piuttosto impegnative. Soprattutto per DCO e BCO, la cui routine inizia alle 5:30 del mattino per i test ai corridori negli hotel. "Le prime notifiche iniziano verso le 6:30-7:00 se si tratta di urine, un po’ più tardi se è sangue. L’obiettivo è testare tutti i corridori assegnati entro un’ora e mezza circa, così da finire il programma entro le 9:30 e permettere agli atleti di fare colazione e andare ad allenarsi. Questa routine si completa con le gare del giorno e poi la sera con finestre di test tra le 18:30 e le 23:00”. Sono giornate molto intense per tutti."
Sfide
Il Mondiale ha posto peraltro una serie di sfide atipiche, dovute alla destinazione altrettanto insolita scelta dall’UCI. Se è vero che il Rwanda si sta affermando come hub del continente per eventi sportivi internazionali, a Kigali è stata comunque una prima volta assoluta, con le incognite che ne conseguono anche dal punto di vista dell’antidoping. "La sfida principale, lavorando per la prima volta in Africa, è che non potevamo contare su volontari locali con molta esperienza. Prima di partire ci chiedevamo: che esperienza hanno nell’antidoping? Quanto dovremo formarli? Siamo sicuri che parleranno un inglese adeguato, o comunque sufficiente, per interagire con i corridori? Nonostante le tante domande con cui siamo partiti, però, le risposte che abbiamo avuto sul posto sono state positive."
"In Rwanda non ci sono state grandi competizioni prima di questo Mondiale, a parte eventi continentali di basket. Non è paragonabile all’Europa da questo punto di vista, insomma. In Europa possiamo contare su un personale esperto ovunque, o quasi. I primi giorni infatti sono stati impegnativi, perché la maggior parte dei volontari non aveva alcun trascorso in antidoping e abbiamo dovuto concentrarci molto, ad esempio, sul modo in cui seguire l’atleta dopo averlo informato del controllo antidoping. Volevamo accertarci di far comprendere loro i compiti e le responsabilità, dato che sono il primo contatto degli atleti, subito dopo l’arrivo della gara, ed è importante avere sempre un primo approccio adeguato e professionale."
D’altra parte la meticolosa organizzazione di Kigali 2025 è stata anche più efficiente di alcune recenti edizioni, in mete più convenzionali. "Per noi è stata una sorpresa in termini di organizzazione", così come lo è stata per tanti giornalisti, atleti, addetti ai lavori e spettatori che hanno raccontato l’evento. "La posizione dell’area antidoping era molto vicina all’arrivo, e questo facilita il compito degli chaperon con gli atleti. Per i corridori il tragitto era breve, sia dall’arrivo sia dal Media Center, e quindi una comodità anche per le conferenza stampa. Poi ci sono le infrastrutture che sono state messe a nostra disposizione, e tanti altri aspetti pratici. Nel complesso il riscontro è sicuramente positivo per un Paese in cui non si sono svolti ancora molti eventi internazionali del genere. L’anno scorso a Zurigo, per fare un parallelo, l’ufficio antidoping era più lontano ed era più complicato da raggiungere."
Strategia
I numeri riflettono lo sforzo dell’ITA. "A Kigali abbiamo testato più di 200 atleti e raccolto più di 280 campioni. Ne raccogliamo diversi: urine alla finish line o in hotel, e due tipi di sangue, di solito sempre in hotel, nelle missioni che facciamo al mattino o alla sera. In totale, oltre 130 urine tra arrivo e missioni in hotel, circa 100 campioni di sangue per il Passaporto Biologico e circa 50 campioni di siero, che servono per analizzare sostanze e misure diverse". A muovere tutto ciò c'è la strategia e la missione dell’ITA, che oltre a una lunga lista di federazioni è partner anche del Comitato olimpico e sarà sul campo ai Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026. Mirata, con un approccio trasversale. "Non c’è nulla di randomico nelle nostre scelte". Il Mondiale di ciclismo è una vetrina ideale per farsene un’idea.
"Siamo responsabili del programma antidoping nel ciclismo tutto l’anno, prima, durante e dopo la stagione. In ogni sport in cui lavoriamo facciamo un risk assessment che considera tanti aspetti: fattori fisiologici, struttura dello sport, modelli scientifici che abbiamo sviluppato internamente, e tutti i dati che abbiamo a disposizione. È un esercizio multifattoriale, che si combina con indicazioni che ci arrivano da altre aree. Ad esempio quella Intelligence & Investigations, dipartimento che indaga e collabora con reporter per scegliere i momenti migliori per i test. Soprattutto durante i grandi eventi, comunque, teniamo sempre un margine di flessibilità, secondo le prestazioni. Magari vediamo qualcosa fuori dal normale o che riteniamo… sarebbe sbagliato dire sospetto, ma noi lavoriamo sul rischio. E rischio non significa che qualcuno si sta dopando, ma che potrebbe essere più probabile rispetto ad altri. È quello che chiamiamo targeted testing, o intelligence-based testing."
Da qualche mese l’antidoping ha anche implementato il DBS testing, cioè il Dried Blood Spots, gocce di sangue secco. Il metodo è stato adottato per la prima volta nel ciclismo al Tour de France 2025, e quindi alla Vuelta de España e al Mondiale. "È una modalità meno invasiva. Non c’è l’ago in vena, raccogliamo gocce di sangue con piccole punture sul braccio o sulla punta del dito. Per spiegarlo semplicemente, si prende una goccia di sangue e la si mette su una specie di foglio, dove asciuga. Quindi non si ha una provetta di sangue liquido, e non serve la stessa catena di custodia per trasportarlo al laboratorio, tra temperatura e tempi entro cui deve arrivare. Con ingombri più ridotti le condizioni di trasporto e di custodia sono più snelle, i costi delle spedizioni inferiori, e tutto questo permette di raccoglierne di più, di moltiplicare i test ematici che possiamo fare. Anche perché il campione può essere raccolto subito dopo la gara, non serve aspettare una o due ore come per altri prelievi. E questo nel ciclismo e soprattutto nelle gare di più giorni è molto utile, per l’importanza del recupero e del riposo dopo lo sforzo. Non è un metodo che può sostituire completamente i campioni di sangue tradizionali, può essere applicato solo per alcune specifiche sostanze."






















































