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Le NBA Finals 2025 sono molto meglio di come se ne parla

Oklahoma City-Indiana è una finale “piccola”, ma a perderci è chi non la sta seguendo

Le NBA Finals 2025 sono molto meglio di come se ne parla Oklahoma City-Indiana è una finale “piccola”, ma a perderci è chi non la sta seguendo

Oklahoma City Thunder contro Indiana Pacers non è la serie di NBA Finals che ci saremmo aspettati. E secondo molti neanche quella che si auguravano Adam Silver e soci, senza New York, Los Angeles, San Francisco, Boston o altri mercati dal grande appeal; e senza consolidate rivalità, come ad esempio Lakers-Celtics (2008, 2010), Heat-Spurs (2013, 2014) o Warriors-Cavs (2015-2018). Quest’anno dal tabellone dell’ovest è emersa Oklahoma City, uno small market che non ha mai vinto il titolo, ma anche la testa di serie numero uno e la favorita della vigilia; e il vero fuori script è arrivato dalla East Coast, con i Pacers di Tyrese Haliburton e un’altra cavalcata incredibile, dopo le Conference Finals 2024. Uno scontro tra "piccole", come ci è stato ricordato perennemente nelle ultime settimane. Ma se vi dicessimo che è una delle NBA Finals più imprevedibili e godibili degli ultimi anni, forse la più divertente in assoluto dal 2016?

Con 48 o 96 minuti ancora da giocare, la serie è attualmente sul 3-2 per OKC. I Thunder lunedì si sono portati avanti per la prima volta, trascinati tra gli altri dal solito Shai Gilgeous-Alexander, da Jalen Williams (in clamoroso crescendo, 40 punti) e Chet Holmgren. In Gara 5 i campioni hanno mantenuto così il fattore campo che avevano faticosamente riconquistato il weekend scorso a Indianapolis. Ci torneranno domani sera per il sesto atto: il primo championship point nella storia della franchigia. Dall’altra parte, una di quelle notti da win or go home - ma se c’è una lezione che abbiamo imparato in questi playoff, a suon di rimonte assurde, è non dare mai i Pacers per vinti.

In tutto ciò gli spettatori neutrali sentono il profumo di Gara 7. Un appuntamento che su questo palcoscenico manca da nove anni (Cavs-Warriors), e che nella storia delle Finals si è visto solo otto volte; e soprattutto, un epilogo che sarebbe perfetto e in un certo senso meritato per questa serie tra OKC e Indiana. Si tratta infatti di una finale che ci è stata presentata, è raccontata e percepita in modo riduttivo. Snobbata, pur con poco da invidiare a quelle viste di recente.

Finals snobbate

Nelle ultime settimane si è parlato tanto, fin troppo, dei dati televisivi. Le Finals 2025 stanno facendo registrare ascolti ben più bassi rispetto alle edizioni recenti, partendo da Gara 1 che è stata seguita in media da 8.91 milioni di telespettatori negli States, il peggior avvio di una serie finale dal 1988 (escludendo le due pandemizzate del 2020 e 2021). Il trend è proseguito poi nelle tre partite successive: Gara 2 ha riunito una media di 8.76 milioni di telespettatori, prima che nel terzo e quarto atto si registrasse una leggera crescita (9.19 e 9.41 milioni, con picchi di 11.5 e 12.1). In totale gli ascolti sono calati vistosamente rispetto a un anno fa (-23%), al 2023 (-27%) e al 2022 (-31%), e la distanza dalle finali pre-covid è ancora più ampia. Gli studi televisivi americani, in ogni caso, sono sembrati per giorni più interessati a tutto ciò che agli sviluppi della serie, e in modo simile i media sportivi sono meno monotematici che mai di questi tempi: il futuro di Antetokounmpo, la forma fisica di Doncic, il successore di Thibodeau, i prospetti e gli scenari nella notte del Draft

I meno distratti nel frattempo hanno screditato in lungo e in largo il livello e lo spettacolo offerto da questa serie. Negli ultimi giorni, ad esempio, impugnando la prestazione negativa in Gara 5 di Haliburton (4 punti, 0/6 al tiro), nonostante i problemi fisici, i ritmi e l'intensità di queste partite, e l’eroica post-season da cui è reduce. Altrimenti c’è chi ha preferito le polemiche arbitrali, in particolare sul trattamento riservato a Gilgeous-Alexander, cui viene rimproverato e non da oggi di essere tutelato. E non solo sui social, come si potrebbe pensare. In un editoriale su La Gazzetta dello Sport si racconta che «a Shai gli arbitri fischiano i sospiri, ma gli stessi criteri di regolamento non vengono applicati a lui in attacco. Il canestro del sorpasso in Gara 4 è stato emblematico: infrazione di passi sesquipedale e braccio esteso per sbilanciare Nesmith. Solo James Harden nel recente passato era stato tutelato così dal metro arbitrale, e mai ai playoff. Shai ricorda Filippo Inzaghi in area, sempre a caccia del rigore». Un dibattito su cui ha fatto chiarezza Flavio Tranquillo, almeno per il possesso della discordia, in un intervento su Sky Sport NBA.

Restando in tema di critiche ingenerose, dopo l’ultimo successo di OKC su NBA Passion si è parlato di ritmo bailado da regular season traslocata a metà giugno e di livello non eccelso di una serie finale anticlimatica. È una posizione piuttosto popolare, in Europa soprattutto, ma che si inserisce in uno schema più ampio di diffidenza, se non rigetto, di alcuni aspetti del basket contemporaneo. In ogni caso l’emblema della freddezza mediatica riservata a queste Finals è stato offerto oltreoceano da Stephen A. Smith, una delle voci più influenti in assoluto. L'opinionista di ESPN è stato sorpreso alla Gainbridge Fieldhouse, nel bel mezzo del terzo quarto di Gara 4, mentre giocava a solitario sullo smartphone. Simbolicamente, e forse non solo, più che una semplice brutta figura.

Una finale per niente scontata 

Se dal punto di vista commerciale è Davide contro Davide, sportivamente la serie si annunciava come Davide contro Golia, ma il campo ha raccontato un’altra storia. E a guardarle, queste Finals, c’è tutt’altro che da annoiarsi. I Pacers sono partiti forte, vincendo in rimonta un’elettrizzante Gara 1, tornando a Indianapolis con l’occasione di portarsi sul 3-1, e andandoci molto vicino. Ora invece i Thunder sono avanti 3-2, con l’eventuale sfida decisiva tra le mura di casa. Non male per una finale sulla carta scontata, ma c’è di più. Ci sono partite che sono state tutte diverse una dall’altra, per andamento, fattori chiave e protagonisti. E soprattutto, mai scontate.

A renderle così avvincenti, secondo i gusti, possono essere gli aggiustamenti tattici e il coaching di Carlisle e Daigneault, oppure i testa a testa tra le principali individualità sul campo, con i loro stili e percorsi diversi. O ancora, le belle storie umane che caratterizzano le Finals di quest’anno, non poche. Quella di TJ McConnell ad esempio, eroe di Gara 3 con il suo modo di stare in campo, quella taglia e quelle doti atletiche così normali. Come lui sono undrafted anche Alex Caruso e Lu Dort, oggi tra i migliori difensori perimetrali dell’NBA, cui si aggiunge chi è uscito dalle retrovie del Draft come Andrew Nembhard, Aaron Wiggins e Cason Wallace. E poi c’è Pascal Siakam, all’inseguimento del suo secondo anello e di un altro grande traguardo in una parabola sportiva e personale straordinaria. Ultimi ma non ultimi, chi osserva - attivamente - da bordo campo: Rick Carlisle, già campione con i Mavs nel 2011, che sta dando lezioni di coaching e rendendo i Pacers una squadra coralmente difficile da fermare; e dall’altra parte Mark Daigneault e il general manager Sam Presti, primi artefici dell’affermazione di OKC a questo livello e delle ottime basi costruite per restarci a lungo.

Le Finals 2025 peraltro sono una prova che le fondamenta del sistema NBA hanno retto all’era dei superteam e del player empowerment, continuando a premiare la programmazione e la bontà del lavoro svolto all’interno dell’organizzazione, anche per mercati nelle periferie dell’impero come Oklahoma City e Indianapolis. I Thunder in particolare offrono un caso davvero senza precedenti di questa dinamica: un progetto tecnico costruito con pazienza, passando soprattutto dal Draft e dallo sviluppo interno del talento, ottenendo un futuro MVP dalla trade-Paul George, e conservando una smisurata quantità di asset futuri. E se tra qualche anno dovessimo stancarci di vederli alle NBA Finals - è una possibilità - lo faremo a tempo debito, non certo oggi. Il punto adesso non è solo raccontare una bella serie, ma anche riconoscere che queste Finals sono una bella notizia per tutti, NBA in primis. Perché non premiano chi in qualche modo ha forzato il sistema, ma chi ci ha costruito qualcosa di solido.