Gli stadi più strani dei preliminari UEFA Destinazioni remote e impianti non convenzionali

Dove arrivano le cartine europee, ormai, arriva anche il vessillo UEFA. Se non oltre, come ci stanno ricordando una volta di più i preliminari di Europa League e Conference League di queste settimane. La dilatazione della geografia calcistica del continente, voluta da Nyon ed entrata nel vivo dal 2021 con l'introduzione della terza competizione e con il format universale a 36 squadre introdotto nel 2024, è ormai ben documentata e ha una direzione piuttosto chiara. Includere sempre più mercati, aprire varchi e sbocchi commerciali, portare gli inni UEFA ad ogni latitudine.

Il disegno si riflette non soltanto nelle novità macro-strutturali, ma anche per i criteri e la capillarità con cui le squadre accedono alle qualificazioni. Nei playoff in corso stiamo vedendo infatti diverse realtà che un tempo ci sarebbero sembrate inusuali per i palcoscenici UEFA, e che invece hanno appena strappato un pass, o ci sono vicine, per i maxi-gironi 2025/26. Squadre mai viste in campo internazionale, trasferte lunghe e piene di complicazioni, a volte in scenari suggestivi e apparentemente poco europei, con buona pace di chi, in nome del livello tecnico e dello spettacolo offerto, chiede di ripristinare l'esclusività delle competizioni.

Stadi diversi

Si parte dallo stretto di Gibilterra, dove il calcio vive letteralmente all’ombra della Rocca e a due passi dalla pista d’atterraggio dell’aeroporto. I Lincoln Red Imps sono già certi di una fase a gironi in Conference, e il loro caso ha fatto il giro del web. Il Victoria Stadium, una cartolina con le code di aerei sullo sfondo, è in ristrutturazione, e nel frattempo il club alterna l’Europa Point - una gemma per cultori di stadi scenografici, incastonata tra mare e promontorio - e la sede lusitana dell’Estádio Algarve per le notti più impegnative. Insomma, tre set diversi in una singola stagione: dove trovate un’altra squadra con una vita domestica così itinerante e fotogenica?

Nel cuore dei Balcani, invece, il carrozzone UEFA si fermerà a Mostar, in Bosnia Herzegovina. Il Pod Bijelim Brijegom, in italiano “Stadio sotto la Collina Bianca”, non è solo un nome poetico, ma una didascalia: la tribuna centrale dell’impianto è appoggiata sul fianco a una collina dalla roccia bianca, mentre le curve sono aperte, con spazi verdi dietro le porte. Una specie di anfiteatro paesaggistico, in cui l’atmosfera sugli spalti tende a surriscaldarsi facilmente. Esteticamente c’è chi lo paragona al famoso stadio del Braga, avversaria diretta nei playoff, ormai una vecchia conoscenza dell’Europa League. Per chi ancora non la conoscesse, l'Estádio Municipal è un’opera d’arte scavata in una cava di granito e firmata Pritzker, con due tribune parallele, la roccia come gradinata naturale e l’idea che il paesaggio sia tutt’uno con l’architettura.

Winter is coming

Negli ultimi anni Scandinavia e dintorni hanno smesso di essere esotismi estivi: sono campionati che producono sempre più talenti, lavorano bene nello scouting, fanno strada nei tornei internazionali. In ogni caso, restano trasferte infernali per clima, orari e chilometraggi. L’Islanda è l’esempio più estremo, con il Breiðablik distante 90 minuti dalla qualificazione, dopo aver battuto la Virtus San Marino 2-1 nell’andata dei playoff di Conference. Reykjavík a fine agosto è già in mood autunnale, con i suoi campi sintetici, il vento che punge perennemente le ossa e temperature già abbastanza fresche. Un'anteprima dei mesi invernali, gelidi e nevosi, con serate in cui l’effetto “bordo del mondo” rende ogni trasferta una lotteria.

Più a est, dentro il labirinto dei laghi finlandesi, c’è Kuopio. Il KuPS ha in tasca almeno una partecipazione alla league phase grazie ai meccanismi dei playoff, con la Väre Areena (4.800 posti a sedere) pronta ad accogliere per la prima volta l’inno UEFA sul proprio campo. Sintetico ovviamente, circondato da alberi, prati e silenzio. È la tipica trasferta che scombina le abitudini continentali: rotte con scalo, luce che cambia, escursione termica. Non sarà remota come Islanda o Isole Far Oer, ma per i club dell’Europa mediterranea è già Nord con la N maiuscola.

E poi c’è il faro che ha insegnato a tutti a prendere sul serio il nord, il Bodø/Glimt, semifinalista della passata Europa League. L’Aspmyra Stadion, con i suoi uffici-curve e il manto ovviamente artificiale, si erge sopra il Circolo Polare Artico, dove il vento è immancabile oltre che gelido, la luce solare ha un ritmo tutto suo e la neve può scendere anche in primavera inoltrata. Anche per questo, in nottate artiche fuori stagione abbiamo visto crollare squadre importanti, le due romane ad esempio con il 6-1 inflitto alla Roma qualche anno fa e il quarto di finale con la Lazio lo scorso aprile.

Intorno, il quadro è ricco: il Brann di Bergen (Norvegia) è in crescita, accompagnato dalle storiche Rosenborg e Fredrikstad; così come il Malmö FF (Svezia) è una presenza ormai familiare in ambito UEFA, affiancato quest’anno dall’Häcken. Non sono campionati improbabili, ma ecosistemi in ascesa. Guardando una qualsiasi gara nordica di fine ottobre, però, capirete subito perché molti allenatori, al di là del livello degli avversari, preferiscano trasferte più vicine.

Eurasia e altre destinazioni fuori rotta

L’Est UEFA è un concetto più culturale che cartografico, e negli ultimi anni è diventato routine. Il primo esempio che intreccia calcio, storia e geografia è Qarabağ, club di Ağdam (Azerbaijan) che gioca a Baku e da anni naviga stabilmente nelle principali competizioni del vecchio continente. Le sue notti europee si consumano sul Caspio, in impianti dove arrivano avversari reduci da viaggi di oltre dieci ore e due scali aerei. Ancora più lontano, però, c’è Almaty, in Kazakistan, con il Kairat qualificato in Champions League dopo aver sconfitto il Celtic di Brendan Rodgers ai calci di rigori. 

Per chi arriva da ovest, giungere ai piedi del Tien Shan significa attraversare mezzo continente, e come se non bastasse giocare a quasi un migliaio di metri sopra il livello del mare: non il martedì o il mercoledì sera dei sogni per club, ad esempio, spagnoli e portoghesi.

Più a sud, il Mediterraneo orientale continua a proporre storie nuove. Pafos (Cipro) è al debutto europeo d’alta quota e ha già messo il naso nei playoff di Champions; le sue gare di casa si giocano nel moderno Alphamega di Limassol, per ragioni di standard UEFA. È un tema ricorrente: in Lussemburgo, il Differdange 03 custodisce un gioiello come il vecchio Thillenberg, impianto con tribuna in legno e un fascino d’altri tempi, ma per l’Europa deve appoggiarsi allo Stade Municipal. In ogni caso, una sorprendente novità. Ci sono poi i casi in cui giocare altrove, in campo neutro, è obbligatorio. La Bielorussia, per decisione UEFA, non può ospitare partite, e così il Neman Grodno gioca in Ungheria a Szeged, e a porte chiuse. Allo stesso modo l’Ucraina continua a vivere l’esilio sportivo, con lo Shakhtar Donetsk che ha eletto la Polonia e  Cracovia come propria casa europea. Il Mediterraneo, infine, aspetta una piccola, enorme sorpresa: l’Ħamrun di Malta. Gli Spartans sono in corsa per una storica prima league phase per il Paese, così come la Virtus sogna di scrivere la stessa pagina per San Marino. Due federazioni per cui una singola visita ai gironi UEFA vale un decennio di lenta crescita.

Questa è la nuova normalità: l’UEFA che si fa vedere in ogni periferia del suo impero, in stadi che sembrano disegnati dall’AI, con aeroporti a bordo campo, spedizioni verso fusi orari e climi proibitivi, e viaggi ai limiti del sostenibile nell’infrasettimanale. A qualcuno sembra un eccesso di globalizzazione oppure di commercializzazione del prodotto, ma di sicuro non a chi ama le storie diverse. Perché più la mappa si allarga, più si moltiplicano gli angoli da cui guardare il calcio e ogni tanto, per spiegare una partita, è bello anche partire dal meteo, da una tribuna che sbuca da una collina o da altri fattori tendenzialmente estranei al calcio di alto livello.