
Come i giocatori stanno aggirando il dress code di Wimbledon Attitudine, identità e innovazione
Wimbledon, quelle due settimane di fragole con la panna, è da tempo un baluardo della tradizione, tanto nell’abbigliamento quanto nell'ambiente che lo circonda. Il suo dress code completamente bianco, nato come una soluzione elegante alle macchie di sudore nell’Inghilterra di età edoardiana, sopravvive oggi come un anacronismo vagamente puritano nell’epoca dell’athleisure fluo. Eppure, anche qui — forse soprattutto qui — la moda trova il suo spazio.
Le regole restrittive del torneo hanno avuto l’effetto inatteso di trasformare il Campo Centrale in un laboratorio di minimalismo sovversivo. I giocatori di oggi, lungi dall’essere limitati dalle regole, le reinterpretano con la precisione dei sarti di Savile Row e la finezza degli orologiai svizzeri. Operano entro i margini più stretti: texture al posto del colore, tagli sartoriali invece che stravaganza, e un leggerissimo luccichio di lusso conforme al regolamento. Il risultato? Wimbledon è diventato silenziosamente una passerella per occhi ultra-esigenti, dove ostentare significa perfezionare.
Quando la moda incontra il tennis
Prendiamo Coco Gauff, la prodigiosa 21enne la cui presenza in campo è ormai un manifesto estetico compiuto. Gauff, sponsorizzata da NikeCourt — probabilmente il più astuto complice di questa insurrezione sartoriale — entra in campo non solo pronta alla battaglia, ma anche per un editoriale di moda. I suoi completi bianchi raramente sono solo bianchi. Pannelli in mesh, tessuti a costine, scollature asimmetriche. E soprattutto, le sue sneakers personalizzate, spesso con monogrammi in rilievo o realizzate con texture inconsuete, sono esercizi studiati di opulenza borderline. Gauff non infrange il codice; ne riscrive la sintassi.
Lo stesso vale per Jannik Sinner, la cui interpretazione dello stile di Wimbledon è tutta incentrata sulla sartorialità. Le sue maglie sono aderenti fino al limite legale, i suoi pantaloncini tagliati come fossero parte di una collezione estiva milanese. I suoi completi bianchi brillano con la lucentezza tecnica dello sportswear di lusso, ma il taglio è puro aplomb continentale. I look di Sinner spesso includono texture sovrapposte — maglie waffle, perforazioni al laser — consentite solo perché, tecnicamente, sono ancora bianche. È la risposta del tennis al lusso silenzioso: sussurrare, non urlare — tranne quando decidi di indossare una borsa Gucci sul campo centrale — cosa che Sinner è altrettanto disposto a fare.
Naomi Osaka resta una delle figure più importanti di questa silenziosa rivoluzione fashion. Le sue apparizioni a Wimbledon sono vere lezioni di diplomazia accessoria. Dai suoi doppi orologi da polso — a metà tra obbligo contrattuale e colpo di stile — ai cardigan fuori dal campo, è sempre consapevole delle regole e al tempo stesso divertita da esse. La sua collaborazione con Nike ha portato a completi personalizzati che giocano con drappeggi e volumi in modi mai visti sui sacri prati verdi. Se Wimbledon insiste sull’uniformità, allora il contributo di Osaka è stato mostrare quanto possa essere ampio il significato della parola "uniforme".
Il caso Nick Kyrgios
E poi, come un glorioso errore nel sistema, c’è Nick Kyrgios. L'enfant terrible del tennis porta un’energia stilistica completamente diversa. Dove altri affinano, lui spesso irrompe — deliberatamente, audacemente — al limite dell’accettabile. I suoi completi bianchi a Wimbledon sono noti per avere cerniere aggiuntive, canotte sovrapposte, tagli da basket e gioielli in eccesso che rasentano la performance artistica. C'è il sospetto che se potesse giocare indossando una felpa Balenciaga, lo farebbe. Eppure anche la sua ribellione è curata: tatuaggi visibili attraverso canottiere, gioielli che sbucano sotto le fascette, sneakers immacolate dal look casual ma dal prezzo superiore a un weekend a Parigi. Il suo stile di infrazione delle regole è una dichiarazione di moda a sé stante — meno sovversione silenziosa e più sfida performativa. Lo stile di Nick è interessante proprio perché vive in tensione con il torneo. Non passa inosservato; sfonda la porta principale, risponde al codice pur restando (appena) nei limiti. I suoi vestiti raccontano ciò che dice il suo dritto: potrebbe seguire le regole se volesse. Semplicemente, non vuole.
Altri offrono variazioni più sottili. Ons Jabeur, ad esempio, ha adottato un’eleganza influenzata dalla tradizione tunisina con siluette fluide e contrasti tattili, riuscendo a unire la modestia tradizionale al taglio tecnico moderno. I suoi completi spesso includono veli in mesh, arricciature delicate, e una silhouette che fa cenno alla sua eredità pur rimanendo conforme al regolamento. Intanto l’impeccabile Roger Federer resta il santo patrono di questo movimento estetico. I suoi completi Uniqlo erano un esercizio di purezza sartoriale. Mai un filo fuori posto, Federer giocava come un chirurgo e si vestiva come tale.
Un paradosso di stile
In effetti, l’interpretazione è la chiave. Il codice d’abbigliamento dell’All England Club, notoriamente draconiano, impone completi “quasi interamente bianchi”, con “nessuna area di colore solido”, fatta eccezione per una sottile bordatura di massimo un centimetro. Questo ha portato a uno dei grandi paradossi dello sport: limitando la libertà espressiva, Wimbledon ha costretto i giocatori — e i loro stilisti, designer e sponsor — a innovare con gli strumenti della sottigliezza. In un mondo saturo di marchi urlanti, le restrizioni estetiche di Wimbledon sono diventate una tela per un lusso che sussurra.
La texture è diventata il mezzo della ribellione. I tessuti a costine evocano l’eleganza del cricket d’altri tempi, mentre i mesh tagliati al laser offrono ventilazione e creano giochi d’ombra dal sapore astratto. I pannelli in pizzo suggeriscono un tocco di femminilità, restando comunque fedeli all’etichetta del tennis. Anche la semplice fascetta per capelli è diventata un veicolo di sovversione soft — con blend cotone-seta sovrapposti o ricami visibili solo a chi siede in prima fila (o guarda in HD). Non sono solo accessori; sono talismani di stile personale contrabbandati oltre le barriere della tradizione.
Anche le scarpe sono entrate in gioco. Le sneakers NikeCourt personalizzate, in particolare quelle di Gauff e Osaka, offrono una lezione magistrale di sfumature. Incisioni tono su tono, pelle perlata, cuciture tono su tono — dettagli così discreti che servirebbe uno zoom per apprezzarli. I loghi spesso sono “fantasma”, cuciti con filo appena diverso dal tessuto, visibili solo in movimento.
E non dimentichiamo gli outfit fuori dal campo, sempre più scrutinati quanto quelli da gara. I cardigan — un tempo dominio del preppy — sono rinati come dichiarazioni di luxury. Pensiamo ai maglioni oversize di Federer, o ai modelli varsity di Gauff con branding appena accennato. Gli orologi non tengono più solamente il tempo ma sono diventati segnali strategici. Portati da soli o a strati come bracciali, questi capolavori dell’orologeria sono dichiarazioni sottili di status e sponsorizzazione.
Una nuova era
Naturalmente, questa nuova grammatica estetica non è casuale. Marchi come Nike e adidas hanno interi team dedicati a progettare nel rispetto delle restrizioni di Wimbledon, che sono diventate, ironicamente, una forma di liberazione creativa. Così come la forma rigida del sonetto ha dato mordente a Shakespeare, il bianco di Wimbledon costringe i designer a puntare sui dettagli, non sul dramma.
Ma cosa dice di noi questa ossessione per il lusso codificato del minimalismo? Forse che gli atleti più visibili e ricchi del mondo, come il loro pubblico, sono stanchi dell’ovvietà. In una cultura dove tutti gridano per attirare l’attenzione, la vera mossa di potere è sussurrare. Indossare un orologio in edizione limitata sotto una fascetta, o commissionare un completo da tennis su misura indistinguibile da uno standard — fino a quando, ovviamente, non lo è più.
C’è anche una particolare britannicità in questa danza della discrezione. Il contegno britannico trova il suo analogo sartoriale nel colletto rigido di cotone, la repressione emotiva si riflette nel controllo tonale. Ma sotto tutto questo scorre una corrente ribelle. Questi giocatori, operando nei limiti della tradizione ma silenziosamente scardinandola, incarnano una sorta di aristocrazia moderna — meno Downton Abbey, più Alexander McQueen.
Così, mentre il tabellone di Wimbledon registra solo ace e doppi falli, il vero sottotesto si gioca a livello di cuciture e silhouette. Il torneo rimane uno dei palcoscenici più prestigiosi del tennis — ma anche, sempre più, una delle sfide più affascinanti per la moda. Il bianco rimane ma si trasforma grazie ad attitudine, identità e innovazione. Wimbledon, alla fine, non riguarda solo come giochi. Si tratta di giocare come se non si stesse giocando affatto.