L'OM è pronto a registrare il suo pantone I loghi cambiano, il colore è per sempre

Un’altra identità visiva storica del calcio europeo sta per scomparire di fronte alle solite esigenze di modernità, pulizia e scalabilità digitale che nell’ultimo decennio hanno già fatto parecchie vittime tra i loghi sportivi. Stavolta è il turno dell’OM, cioè l’Olympique de Marseille, club francese riconosciuto in tutto il mondo proprio per il dna estetico: iconico dall’esterno, sentito come proprio all’interno della fanbase, e per questo da maneggiare con grande delicatezza da una dirigenza che mesi fa ha annunciato l’apertura del cantiere creativo.

"Non è un lavoro semplice, tutt’altro", diceva il presidente Pablo Longoria in una conferenza stampa di maggio, "dobbiamo rispettare la storia della squadra e la tifoseria". Un monito è arrivato anche dall’ex presidente Christophe Bouchet, che a suo tempo, a fine anni ‘90, aveva ampiamente scontentato il pubblico del Vélodrome con il medesimo processo: "Lo stemma qui è considerato l’essenza stessa del club dai tifosi, il che rende ogni modifica molto delicata", ha spiegato a Le Parisien.

A una manciata di mesi di distanza, in questi giorni sui social stanno circolando i primi scatti rubati del nuovo logo. Un disegno che conserva gli elementi considerati non negoziabili dalla tifoseria (le lettere O e M, il motto, la stella) ma che sacrifica ogni altro tratto sull’altare di una maggiore semplicità e trasversalità. Ovviamente resteranno invariati i colori sociali, in merito a cui sta circolando una notizia particolare, anzi unica nel panorama sportivo europeo: la possibile registrazione del Bleu OM, che il club intende proteggere con un brevetto.

Bleu OM

L’indiscrezione è stata suggerita dalla rivista Le Parisien e poi rilanciata da diversi media francesi specializzati, pur attirando meno attenzioni del rinnovamento del logo. Si tratta di un’intenzione senza precedenti in Europa, dove le norme per depositare una richiesta di brevetto - o meglio, un marchio di colore - sono particolarmente restrittive, e non solo in ambito sportivo. L’asticella è fissata piuttosto in alto dall’European Union Intellectual Property Office (EUIPO), che richiede una codifica precisa e un’elevata distintività acquisita agli occhi del pubblico per accogliere le richieste. Lo ha confermato ad esempio il caso Red Bull, che anni fa provava a depositare il proprio blu-argento, ma senza successo. "La registrazione è possibile solo se la rappresentazione è chiara, precisa, autonoma, facilmente accessibile, durevole e oggettiva", affermano i criteri Sieckmann.

A Marsiglia c’è la sensazione che quell’iconico blu-azzurro che affonda le proprie radici nella cultura della città, che da sempre colora i loghi, le divise, le coreografie e l’immaginario collettivo del club, e che in qualche modo ne rappresenta l’anima, possieda i requisiti di riconoscibilità posti dall’EUIPO. E dunque che possa essere brevettato, un po’ come oltreoceano è avvenuto con il Tiffany Blue, protetto dal 1998, o con i casi analoghi di Coca-Cola Red e UPS Brown; oppure nel mondo sportivo con il Burnt Orange di University of Texas o il Carolina Blue di University of North Carolina. Nel sistema statunitense, però, la tutela legale di un colore come marchio - regolata dallo United States Patent and Trademark Office (USPTO) - è molto più flessibile rispetto al modello europeo. Non è strettamente necessario che il colore sia unico o intrinsecamente distintivo, basta dimostrare la riconoscibilità e che sia diventato identificativo nel tempo attraverso l’uso.

Se l’Olympique de Marseille si rivolgesse all’USPTO, insomma, avrebbe senza dubbio le carte in regola per registrare il Bleu OM. Nei prossimi mesi - si parla di rebranding completo a inizio 2026 - scopriremo se il club guidato da Frank McCourt e Pablo Longoria ci riuscirà nel restrittivo contesto del vecchio continente. In ogni caso, brevetto o meno, si procede a passi lunghi e ben distesi verso l’annuncio del nuovo logo.

Una nuova era

McCourt e Longoria hanno definito il cambiamento all’orizzonte come "l’inizio di una nuova era e l’adattamento del club alla comunicazione moderna". Come già visto in tante altre realtà, il restyling dell’emblema - in questo caso "previsto per i prossimi 15 o 20 anni" - è una parte sostanzialmente inevitabile del processo, ed ecco quindi a Marsiglia "uno stemma più pulito, moderno, direttamente identificabile e facilmente riconoscibile sui supporti digitali". Il logo ricorda il timbro di Montmirail, fondatore del club, e quindi il primissimo stemma dell’OM risalente al 1899 e ispirato proprio al sigillo personale di René Dufaure de Montmirail con le iniziali D e M adattate in O e M per il monogramma. La semplificazione delle lettere e della sagoma sono evidenti, ma il club ha lasciato intendere di non voler abbandonare né la stella, né il motto Droit au but (Dritto al punto), che sarà integrato o meno secondo l’uso e il supporto di comunicazione, "un po’ come nel caso di You’ll Never Walk Alone a Liverpool", si legge su Le Parisien.

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Consapevole della delicatezza dell’operazione e della posta in gioco dal punto di vista dei rapporti con la tifoseria, la dirigenza ha scelto di coinvolgere i leader dei gruppi ultras nel processo creativo e di ascoltare le loro opinioni in merito. Incontri in cui si è cercato un compromesso e di cui sarebbe curioso ascoltare il contenuto, ma che comunque hanno portato il tifo organizzato marsigliese ad approvare pubblicamente il cambiamento, spianando la strada per una generale accettazione.

Standardizzazione

Il coinvolgimento del mondo ultras racconta molto chiaramente la circospezione con cui McCourt, Longoria e soci si sono mossi lungo questo percorso. Così come lo storytelling dei mesi scorsi, fortemente ispirato alla cultura cittadina, e le linee lanciate recentemente da OM e PUMA, di impronta marcatamente nostalgica, suggeriscono una certa volontà di trasmettere forte e chiaro il messaggio che il passato del club non sia destinato al dimenticatoio. Una serie di operazioni che non devono sorprendere, considerando il contesto. La storia di questa tifoseria, tra cui ad esempio le diffuse critiche e il generale rifiuto del rebranding imposto sotto la gestione di Christophe Bouchet, testimonia in effetti tutte le difficoltà a far digerire al pubblico locale i cambiamenti nell’identità visiva, considerata un patrimonio culturale da difendere con le unghie e con i denti dalle esigenze commerciali.

L’annuncio del nuovo logo sarà, come sempre, un tema polarizzante. Tra chi si sforza di comprendere le ragioni di questa standardizzazione, che prima o dopo sta toccando tutti i club del vecchio continente, e chi sperava che l’OM, uno dei club con la componente identitaria più profonda in assoluto, potesse eludere tali logiche di mercato. La lunga lista di loghi restaurati in Ligue 1, dopo i precedenti di Nantes, Reims, Metz e Saint-Étienne, è destinata invece ad allungarsi con un’altra ri-progettazione visiva. L'ennesima che sembra parlare più la lingua corporate che quella del calcio, e che in generale sembra seguire un po’ ovunque le stesse direttive, tanto che il nuovo stemma dell’OM può apparire come una rivisitazione di quello dell’Inter, fatta eccezione per la lettera i e per i colori sociali.

Chissà se un giorno si farà dietrofront e si tornerà ad abbracciare la tradizione e il patrimonio culturale dei club, soprattutto in casi di eredità molto ricche come quella del Marsiglia. Forse no, siamo soltanto all’inizio dell’era del branding digitale, lungo una strada che non si può fermare di fronte alla nostalgia. Ciò che i tifosi dell’OM probabilmente non rimpiangeranno mai, però, sono i colori. Il Bleu tradizionale è per sempre, e su questo la promessa del club è supportata dai fatti.